Transfer pricing, l’interesse di gruppo non giustifica lo scostamento dai valori di mercato
L’ordinanza 1232/2021 della Cassazione: la policy aziendale, considerata di per sé stessa, non è causa di giustificazione necessaria e sufficiente
La logica dell’interesse di gruppo non può di per sé giustificare deroghe al principio del valore normale in caso di transazioni intercompany. Su questo tema si è incentrata l’ordinanza 1232/2021 della Cassazione.
L’ufficio aveva contestato la congruità delle royalties addebitate nel 2006 da una società italiana alla propria consociata residente negli Stati Uniti. La società era risultata soccombente sia in primo che in secondo grado. La decisione della Cassazione ribadisce alcuni concetti importanti ed ormai consolidati e fornisce alcuni elementi nuovi. In tema di onere della prova viene confermato il principio secondo il quale in tema di transfer pricing l’onere della prova gravante sull’ufficio resta limitato alla dimostrazione dell’esistenza di transazioni tra imprese collegate e dello scostamento evidente tra il corrispettivo pattuito e quello di mercato dovendo poi essere il contribuente, in forza del principio di vicinanza della prova, dimostrare che la transazione sia intervenuta a valori di mercato (nello stesso senso si veda tra le altre Cassazione ordinanza 11837/2020). Resta pertanto esclusa qualsiasi prova connessa a finalità antielusive.
Il riferimento più innovativo è la precisazione secondo la quale l’interesse economico del gruppo non può rappresentare la giustificazione per l’eventuale scostamento dai valori di mercato. Da quanto emerge dall’ordinanza i termini economici della transazione intercompany erano stati determinati seguendo una logica di gruppo, finalizzata a consentire alle consociate una più efficace penetrazione nei mercati locali.
Sul punto la Cassazione analizza i principi di cui all’articolo 2497 del Codice civile, in tema di responsabilità derivante da attività di direzione e coordinamento, e la teoria dei vantaggi compensativi. Il Codice civile prevede che non vi è responsabilità nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento se si prova l’esistenza di un risultato complessivo di gruppo anche se viene sacrificato l’interesse di una società ad esso appartenente. Tuttavia tali principi non sono direttamente applicabili al diritto tributario ed alla normativa sui prezzi di trasferimento, che richiede una valutazione delle operazioni intercompany secondo regole di mercato. Ciò significa che «la policy aziendale, presa di per sé stessa, non è causa di giustificazione necessaria e sufficiente per derogare la regola del valore normale».
In effetti la ratio nella normativa tributaria in tema di transfer pricing, articolo 9 del modello di Convenzione Ocse ed articolo 110 del Tuir, impone di verificare la congruità della transazione comparandola ad analoghe operazioni realizzate tra parti terze. I prezzi vanno cioè determinati ipotizzando che il contribuente agisca seguendo il proprio interesse come se fosse una società indipendente (cosiddetto «separate entity approach»).
Dunque l’interesse di gruppo non può essere l’unica giustificazione economica addotta, ma si ritiene che ben possa essere rilevante laddove combinato con altri elementi sia economici che tecnici. In molte situazioni infatti l’interesse di gruppo può coincidere con l’interesse della singola società. Anche una parte indipendente potrebbe avere un beneficio nell’applicare prezzi competitivi ai propri clienti affinché questi penetrino nuovi mercati in quanto ciò potrebbe comportare in futuro maggiori ricavi anche per l’impresa fornitrice. Ciò vale anche per il periodo della pandemia in cui una riduzione dei prezzi potrebbe essere giustificata dall’esigenza di evitare la crisi delle controparti, che inevitabilmente si rifletterebbe anche sull’impresa, come riconosciuto dall’Ocse nel documento «Guidance on Transfer Pricing implications of the Covid-19 pandemic».
Agnese Menghi, Luisa Miletta
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