Il CommentoControlli e liti

Il grimaldello per le società estinte

Contrasto agli omessi versamenti con la notifica della cartella di pagamento anche agli ex soci

La questione degli omessi versamenti delle società estinte potrebbe essere efficacemente contrastata se ai controlli automatizzati in capo alle società stesse seguisse sempre la notifica della cartella di pagamento anche agli ex soci, assicurando così all’Erario una rapida ed efficace azione di ostacolo alle liquidazioni chiuse con un riparto a “0” e con debiti tributari pendenti, ma che celano distrazioni di somme a favore di coloro in possesso dell’unico patrimonio ancora aggredibile, vista l’assenza di quello sociale.

Ai sensi dell’articolo 2495 del Codice civile, l’ex socio di una società di capitali estinta risponde solo limitatamente alla quota eventualmente ricevuta in base al bilancio finale di liquidazione; tuttavia, ai creditori, compreso l’Erario, è data la possibilità di allegare prova della percezione di «utilità varie» da parte degli ex soci, anche in presenza di un bilancio di liquidazione chiuso (ufficialmente) con patrimonio netto negativo o nullo. Infatti, l’articolo 36, comma 3, del Dpr 602/73 (applicabile alla generalità delle imposte) prevede per i soci che hanno ottenuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta antecedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, la responsabilità per il pagamento delle imposte dovute nei limiti del valore dei beni stessi (salvo le maggiori responsabilità stabilite dal Codice civile).

Ne consegue, pertanto, come la chiusura di una liquidazione avvenuta senza alcun riparto non costituisce impedimento all’azione dell’Amministrazione finanziaria di recupero a carico dei soci. Sul punto, la Cassazione più volte ha giustificato la chiamata in causa dell’ex socio stabilendo però che «spetta al creditore e non al debitore, l’onere della prova dell’azionata pretesa, con riguardo sia alla reale percezione delle somme, sia all’entità di tali somme» (sentenza 16546/2019).

La posizione della Suprema Corte, da cui sembra emergere un più ampio principio rispetto al riscontro di dati non veritieri, non impedirebbe in ogni modo alle Entrate di attivare i controlli automatizzati (articoli 36-bis del Dpr 600/73 e 54-bis del Dpr 633/1972) per il recupero degli omessi versamenti d’imposta da parte della società estinta, giacché è la «sopravvivenza» quinquennale voluta ai soli fini fiscali delle società estinte (ex articolo 28, comma 4, del Dlgs 175/2014) a conservare vitalità ed efficacia agli «atti di liquidazione» e di «riscossione» dei tributi e contributi. Si tratterebbe, allora, di applicare i citati principi giurisprudenziali anche dinanzi a bilanci e dichiarazioni fiscali nei quali è correttamente evidenziata una debenza verso l’Erario, ma non dei riparti ai soci.

Se così è, compiuto il primo passo e avuta poi contezza dell’omesso pagamento nei termini, secondo chi scrive è possibile procedere alla notifica sia alla società, sia ai soci della cartella di pagamento: questa, infatti, nella fattispecie in esame caratterizzata da tributi autodichiarati e non versati, costituisce l’atto di cui parla al comma 5, l’articolo 36 del Dpr 602/1973, la cui motivazione riposerebbe proprio sull’autodichiarazione (autodenuncia) di somme non versate. A soluzione diversa, invece, si giungerebbe dinanzi alla richiesta di un debito fiscale frutto di un vero e proprio accertamento poiché, in tal caso, non si tratterebbe solo di un mero controllo cartolare.

In sostanza, se non può escludersi la facoltà dell’Amministrazione di provare nel caso singolo la “falsità” dei dati di bilancio, restrittivi della responsabilità dei soci, si ritiene in ogni modo ragionevole, soprattutto con riferimento alle imposte incamerate e non versate (Iva, ritenute ecc.), che almeno nella forma della presunzione semplice, di tale disponibilità finanziaria “andata perduta” rispondano da subito anche i soci successori della società cancellata, salvo prova contraria di non aver tratto profitto dal mancato versamento dell’imposta. Ed è proprio l’omesso versamento delle imposte autodichiarate, in presenza di una società a ristretta base societaria, a portare in dote gli elementi di gravità, precisione e concordanza.

Solo in seguito, ove dovesse incardinarsi un contenzioso o anche prima durante un’eventuale fase amministrativa, sarà allora onere dell’ex socio, al fine di liberarsi dalla responsabilità, dimostrare di non aver ricevuto denaro o altri beni sociali in assegnazione, allegando, ad esempio, il sostenimento di spese inerenti alla società e, dunque, l’assenza di alcuna percezione a suo beneficio, in contrasto con quanto dimostrato dall’Amministrazione attraverso l’utilizzo di opportuni poteri istruttori, come le indagini finanziarie.

Tuttavia, di pari passo con l’evoluzione giurisprudenziale si auspica però una riflessione de iure condendo, in quanto l’ausilio offerto dalle presunzioni tributarie semplici potrebbe presentare maglie troppo strette, ove il dato presuntivo, seppur di speciale entità, non fosse accompagnato da nuovi elementi di prova, mettendo a rischio l’esito processuale dell’accertamento.

La questione degli omessi versamenti delle società estinte potrebbe essere efficacemente contrastata se ai controlli automatizzati in capo alle società stesse seguisse sempre la notifica della cartella di pagamento anche agli ex soci, assicurando così all’Erario una rapida ed efficace azione di ostacolo alle liquidazioni chiuse con un riparto a “0” e con debiti tributari pendenti, ma che celano distrazioni di somme a favore di coloro in possesso dell’unico patrimonio ancora aggredibile, vista l’assenza di quello sociale.

Ai sensi dell’articolo 2495 del Codice civile, l’ex socio di una società di capitali estinta risponde solo limitatamente alla quota eventualmente ricevuta in base al bilancio finale di liquidazione; tuttavia, ai creditori, compreso l’Erario, è data la possibilità di allegare prova della percezione di «utilità varie» da parte degli ex soci, anche in presenza di un bilancio di liquidazione chiuso (ufficialmente) con patrimonio netto negativo o nullo. Infatti, l’articolo 36, comma 3, del Dpr 602/73 (applicabile alla generalità delle imposte) prevede per i soci che hanno ottenuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta antecedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, la responsabilità per il pagamento delle imposte dovute nei limiti del valore dei beni stessi (salvo le maggiori responsabilità stabilite dal Codice civile).

Ne consegue, pertanto, come la chiusura di una liquidazione avvenuta senza alcun riparto non costituisce impedimento all’azione dell’Amministrazione finanziaria di recupero a carico dei soci. Sul punto, la Cassazione più volte ha giustificato la chiamata in causa dell’ex socio stabilendo però che «spetta al creditore e non al debitore, l’onere della prova dell’azionata pretesa, con riguardo sia alla reale percezione delle somme, sia all’entità di tali somme» (sentenza 16546/2019).

La posizione della Suprema Corte, da cui sembra emergere un più ampio principio rispetto al riscontro di dati non veritieri, non impedirebbe in ogni modo alle Entrate di attivare i controlli automatizzati (articoli 36-bis del Dpr 600/73 e 54-bis del Dpr 633/1972) per il recupero degli omessi versamenti d’imposta da parte della società estinta, giacché è la «sopravvivenza» quinquennale voluta ai soli fini fiscali delle società estinte (ex articolo 28, comma 4, del Dlgs 175/2014) a conservare vitalità ed efficacia agli «atti di liquidazione» e di «riscossione» dei tributi e contributi. Si tratterebbe, allora, di applicare i citati principi giurisprudenziali anche dinanzi a bilanci e dichiarazioni fiscali nei quali è correttamente evidenziata una debenza verso l’Erario, ma non dei riparti ai soci.

Se così è, compiuto il primo passo e avuta poi contezza dell’omesso pagamento nei termini, secondo chi scrive è possibile procedere alla notifica sia alla società, sia ai soci della cartella di pagamento: questa, infatti, nella fattispecie in esame caratterizzata da tributi autodichiarati e non versati, costituisce l’atto di cui parla al comma 5, l’articolo 36 del Dpr 602/1973, la cui motivazione riposerebbe proprio sull’autodichiarazione (autodenuncia) di somme non versate. A soluzione diversa, invece, si giungerebbe dinanzi alla richiesta di un debito fiscale frutto di un vero e proprio accertamento poiché, in tal caso, non si tratterebbe solo di un mero controllo cartolare.

In sostanza, se non può escludersi la facoltà dell’Amministrazione di provare nel caso singolo la “falsità” dei dati di bilancio, restrittivi della responsabilità dei soci, si ritiene in ogni modo ragionevole, soprattutto con riferimento alle imposte incamerate e non versate (Iva, ritenute ecc.), che almeno nella forma della presunzione semplice, di tale disponibilità finanziaria “andata perduta” rispondano da subito anche i soci successori della società cancellata, salvo prova contraria di non aver tratto profitto dal mancato versamento dell’imposta. Ed è proprio l’omesso versamento delle imposte autodichiarate, in presenza di una società a ristretta base societaria, a portare in dote gli elementi di gravità, precisione e concordanza.

Solo in seguito, ove dovesse incardinarsi un contenzioso o anche prima durante un’eventuale fase amministrativa, sarà allora onere dell’ex socio, al fine di liberarsi dalla responsabilità, dimostrare di non aver ricevuto denaro o altri beni sociali in assegnazione, allegando, ad esempio, il sostenimento di spese inerenti alla società e, dunque, l’assenza di alcuna percezione a suo beneficio, in contrasto con quanto dimostrato dall’Amministrazione attraverso l’utilizzo di opportuni poteri istruttori, come le indagini finanziarie.

Tuttavia, di pari passo con l’evoluzione giurisprudenziale si auspica però una riflessione de iure condendo, in quanto l’ausilio offerto dalle presunzioni tributarie semplici potrebbe presentare maglie troppo strette, ove il dato presuntivo, seppur di speciale entità, non fosse accompagnato da nuovi elementi di prova, mettendo a rischio l’esito processuale dell’accertamento.