Contabilità

Rivalutare o no i beni: il peso delle variabili non solo tributarie

Sono cinque gli aspetti da considerare per capire se la rivalutazione riproposta dal Dl Agosto è vantaggiosa

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di Massimo Foschi e Francesco Nobili

La rivalutazione dei beni d’impresa – riproposta dall’articolo 110 del decreto Agosto (Dl 104/2020) – permetterà di patrimonializzarsi a molte società, che potranno altresì dare rilevanza fiscale alle attività rivalutate a costi molto contenuti. Tuttavia, per valutare la convenienza di questa possibilità (preclusa solo a chi adotta i principi contabili internazionali), non basta prendere in esame soltanto i parametri tributari.

La rivalutazione, sia per i beni materiali che immateriali, potrà essere effettuata innanzitutto ai soli fini civilistici senza oneri fiscali (come già accaduto in precedenza con la legge 185/2008 per i soli beni immobili) e sarà imputata direttamente ad incremento del patrimonio netto. In via facoltativa sarà altresì possibile ottenere il riconoscimento ai fini fiscali dei maggiori importi iscritti in bilancio, con un costo alquanto contenuto; infatti (salvo in caso di cessione) il maggior valore attribuito ai beni e alle partecipazioni verrà riconosciuto, ai fini fiscali, dall’esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata effettuata attraverso il versamento di una imposta sostitutiva del 3%, sia per i beni ammortizzabili che per quelli non ammortizzabili.

In sintesi, la norma in questione si differenzia favorevolmente dalle precedenti per le seguenti caratteristiche:

possibile rivalutazione ai soli fini civilistici di tutti i beni d’impresa indicati;

possibilità di rivalutare distintamente anche i singoli beni materiali;

costo ridotto – 3% – per il riconoscimento fiscale;

rateizzazione triennale del pagamento dell’imposta sostitutiva e possibilità di compensazione tramite F24;

riconoscimento dei valori fiscali ai fini dell’ammortamento già dal 2021.

Cinque aspetti da analizzare

Ai fini di una valutazione di convenienza occorre tenere in considerazione anche alcuni fattori di carattere non tributario.

1. In primo luogo i maggiori valori attribuiti in sede di rivalutazione dovranno essere opportunamente supportati, tenendo tra l’altro conto che l’articolo 11 della legge 342/2000 (richiamato espressamente dall’articolo 110) stabilisce espressamente (e non potrebbe essere altrimenti) che i valori iscritti in bilancio per effetto della rivalutazione non possono essere superiori a quelli «effettivamente attribuibili ai beni con riguardo alla loro consistenza, alla loro capacità produttiva, all’effettiva possibilità di economica utilizzazione dell’impresa, nonché ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri».

IL CONFRONTO

2. Inoltre, si dovrà tenere conto del fatto che i conti economici degli esercizi successivi a quello in cui viene effettuata la rivalutazione (2020 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare) saranno in genere appesantiti dai maggiori ammortamenti sui valori rivalutati.

3. In caso poi di rivalutazione effettuata ai soli fini civilistici il livello di tassazione effettivo subirà un incremento per effetto dell’indeducibilità dei maggiori ammortamenti.

4. Si dovranno altresì considerare gli effetti della rivalutazione su eventuali covenant che devono essere rispettati sui finanziamenti erogati alla società. Se, infatti, la rivalutazione (che comporta un incremento del patrimonio netto) influenza positivamente i covenant di carattere patrimoniale, i maggiori ammortamenti degli esercizi successivi alla rivalutazione con conseguente riduzione dell’Ebit potrebbero comportare un effetto negativo sui covenant di carattere reddituale.

5. Infine la rivalutazione degli intangible (marchi, brevetti) potrebbe consentire l’emersione di rilevanti valori inespressi con effetti positivi su eventuali operazioni di riorganizzazione, aggregazione, cessione, interventi di operatori di private equity o quotazioni in Borsa, oltre che rappresentare, in caso di riconoscimento fiscale, un’ulteriore incentivo da analizzare in aggiunta a quelli già esistenti (ad esempio il patent box – peraltro non più applicabile ai marchi d’impresa).

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