Il CommentoControlli e liti

Addio parità delle armi se solo il Fisco accede a tutte le sentenze d’Italia

Le direttive agli uffici svelano che l’Agenzia ha tutti i dati per affinare la strategia processuale

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Il recente intervento del decreto Ristori (Dl 137/2020) in materia di processo tributario fornisce lo spunto per verificare se quest’ultimo risulta davvero un “giusto processo” (articolo 111 della Costituzione), in particolare nell’ottica del principio della parità delle armi.

Processo telematico e precedenti

Una prima considerazione va fatta relativamente all’«asimmetria conoscitiva» tra agenzia delle Entrate e contribuente. Con l’avvento del processo tributario telematico va infatti notato che le Entrate hanno accesso agli atti di tutti i processi tributari di merito nel territorio nazionale. Prova ne sono le recenti direttive impartite agli uffici periferici in materia di società di comodo (si veda l’articolo di NT+ Fisco del 4 novembre) attraverso le quali sono stati portati a conoscenza degli uffici periferici tutti gli esiti (favorevoli e sfavorevoli) delle pronunce sul tema, di modo che gli uffici possano tenerne conto per orientare la propria linea di difesa nella gestione del contenzioso pendente e in quello da intraprendere. Le medesime considerazioni valgono con riferimento alla direttiva interna sulla cedolare secca nei casi in cui l’inquilino agisca in veste d’impresa. In tale documento vengono elencate le pronunce di merito favorevoli al Fisco (si veda l’articolo di NT+ Fisco del 15 novembre), mentre il contribuente non è in grado di conoscere tutte quelle a lui favorevoli.

L’Agenzia può così analizzare i risultati per ciascun tipo di controversia per poi elaborare le migliori strategie difensive. In sostanza, una delle due controparti (il contribuente) ha accesso soltanto al suo fascicolo mentre la parte “pubblica” (agenzia delle Entrate) ha accesso anche a tutti gli altri fascicoli.

Risulta evidente il vantaggio delle Entrate nell’accesso alle informazioni relative al processo tributario, che determina non poche perplessità nell’ottica della regola del giusto processo (questa “asimmetria” potrà essere colmata soltanto con sistemi “privati” di Intelligenza Artificiale predittiva).

Il caso dell’onere della prova

Altra questione è quella dell’onere della prova. Tralasciando questioni già riportate su queste pagine circa la non giustificabilità, oramai, delle presunzioni legali (considerato che, visto il patrimonio di dati in possesso del Fisco, non esiste più quel deficit conoscitivo che le giustificava), va messo in luce – anche nella prospettiva dell’articolo 6 Cedu – che non risultano certamente ammissibili, sempre nell’ottica del giusto processo, situazioni che portano ad attribuire al contribuente un onere di prova negativo.

È il caso della “presunzione giurisprudenziale” relativa alle società a ristretta base partecipativa (dove il contribuente – socio della società – dovrebbe provare di non avere incassato gli utili ritenuti “in nero” della società). In tale contesto, pur non essendo in presenza di una presunzione legale, è il contribuente a dover fornire la prova contraria, per effetto del consolidato avallo della giurisprudenza che le utilizza come massime di esperienza consolidate. Prova contraria che nel caso dei soci delle società a ristretta base partecipativa si rivela tuttavia una probatio diabolica, la quale altera certamente il principio di parità delle armi.

Sempre in tema, vale ricordare la diversa valenza attribuita alle dichiarazioni di terzi dai giudici di vertice. Ed invero, mentre per i contribuenti vale il principio tradizionale secondo cui le medesime, nel processo tributario hanno portata meramente indiziaria, lo stesso non è sempre vero nei riguardi del Fisco. È stato infatti affermato il criterio di diritto secondo cui le dichiarazioni rilasciate “contro sé stessi” hanno natura confessoria e dunque valenza di prova presuntiva. Si considerino i casi della dichiarazione dell’impresa di autotrasporti in ordine alla effettività del trasporto o del dipendente dell’impresa in ordine alla contabilità in nero (Cassazione 27314/2014 e 24531/2019). È del tutto evidente come questo squilibrio di posizioni, nell’ambito di un processo che non ammette la prova testimoniale, determini un grave pregiudizio dei diritti di difesa.