Professione

Ricerca pubblica, privilegi economici del professore

In Italia scelte in controtendenza rispetto agli altri paesi Ocse in materia di invenzioni

ADOBESTOCK

di Massimiliano Granieri

Dal 2001 l’Italia ha fatto una scelta normativa in controtendenza rispetto alla quasi totalità dei Paesi Ocse, istituendo una regola eccezionale sull’appartenenza delle invenzioni conseguite dai ricercatori delle università e degli enti pubblici di ricerca.

La regola generale in tutti i Paesi del mondo è che l’inventore – figura ormai non più antropomorfa ma rappresentata talvolta da una squadra di ricercatori – è titolare dei diritti morali e patrimoniali sui frutti del proprio lavoro intellettuale (in Italia, la norma si trova espressa nell’articolo 63 del Codice della proprietà industriale).

Questa regola è derogata quasi universalmente nel caso in cui l’inventore svolga la propria attività in un contesto organizzato di natura privatistica, nel quale si inserisce come lavoratore dipendente. In questa ipotesi, fermo restando il diritto dell’inventore di essere riconosciuto autore del trovato, i diritti patrimoniali fanno capo al datore di lavoro, che può quindi decidere se e come sfruttare l’invenzione, anche mantenendola segreta.

I rapporti di lavoro
In realtà, nel quadro dei rapporti di lavoro, il dipendente può essere assunto per svolgere specificamente attività inventiva e retribuito appositamente per questo suo impegno: in questo caso sussiste la cosiddetta invenzione “di servizio” dell’inventore-dipendente.

Quando non ricorrono le condizioni dell’invenzione di servizio (si parla, in alternativa, di invenzioni “di azienda”), al fine di contemperare gli interessi delle due parti, la legge prevede che al dipendente-inventore sia dovuto un equo premio, calcolato secondo un algoritmo che la legge stessa delinea (all’articolo 64 del Codice si trovano tutti i riferimenti).

L’eccezione italiana
L’Italia ha adottato un’ulteriore eccezione, complicata da due alternative, quando il rapporto di lavoro intercorre con una università o un ente pubblico di ricerca (articolo 65 del Codice). Se l’invenzione è conseguita con l’impiego di risorse pubbliche o private – purché esterne all’ente di appartenenza – che anche solo parzialmente servono a finanziare l’attività di ricerca e sviluppo, allora la titolarità delle invenzioni è istituzionale, cioè dell’ente (esattamente come prevede l’articolo 64 per i lavoratori privati). Se l’attività di ricerca è finanziata con risorse proprie del ricercatore o del suo ente datore di lavoro, la titolarità è individuale.

Anche rispetto alla articolata (e molto contestata) soluzione appena descritta, c’è un contemperamento di interessi. Infatti, nel caso di brevettazione in proprio dell’inventore individuale, questi è comunque tenuto a comunicare al suo ente di appartenenza di aver proceduto a brevettare e a corrispondere all’ente stesso una percentuale compresa tra il 30% e il 50% di tutto quanto eventualmente conseguito a titolo di sfruttamento del brevetto.

Il privilegio del professore
Dal punto di vista del contribuente italiano risulta difficile comprendere per quale motivo in almeno un caso il ricercatore pubblico, che pure viene regolarmente finanziato dalla fiscalità generale, ha la possibilità di appropriarsi dei frutti del suo lavoro che, anche nella migliore delle ipotesi, risente fortemente della comunità intellettuale e di pratica che soltanto parzialmente il ricercatore ha contribuito a creare e della quale si giova.

Si tratta di un vero e proprio “privilegio (del professore)”. Così lo chiamano i tedeschi, che però lo hanno cancellato dalla loro legge brevetti nel gennaio 2002, cioè a pochi mesi di distanza dall’adozione da parte dell'Italia.

Le conseguenze
Gli eventi successivi al 2001 e i dati che annualmente vengono raccolti (si veda il Rapporto annuale Netval, disponibile su www.netval.it) dimostrano che le università e gli enti di ricerca italiani hanno brevettato più negli ultimi vent’anni che in tutta la storia dell’Italia repubblicana e per l’attività di valorizzazione (attraverso licenze, collaborazioni, spin-off), sono in media con i principali Paesi europei.

La regola della titolarità individuale per i ricercatori pubblici per metà è inutile, per l’altra dannosa. E se si guarda alle implicazioni fiscali di un regime frammentario come quello dell’articolo 65, ci si renderà conto che si tratta di una soluzione anche in forte odore di illegittimità costituzionale, che andrebbe rivista radicalmente nel contesto di iniziative complessive di rilancio della competitività nazionale su base tecnologica.

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