Controlli e liti

Aggio, si applica la disciplina vigente al tempo della riscossione

L’ordinanza 36100/2021 della Cassazione ha respinto il ricorso che lamentava l'applicazione retroattiva di una norma afflittiva

di Francesco Machina Grifeo

Si chiude definitivamente a sfavore di Dolce & Gabbana Trademarks Srl la querelle contro Equitalia Nord per il pagamento dell'aggio relativo all’iscrizione a ruolo, nel 2011, per 5,5 milioni di euro di due atti di contestazione ai fini Iva. La Corte di cassazione, ordinanza 36100 depositata il 23 novembre, ha infatti definitivamente respinto il ricorso della casa di moda che aveva contestato l'obbligo di pagamento entro 60 giorni dell'aggio nella misura del 4,65 per cento.

Secondo la griffe il pagamento che era stato introdotto dal Dl n. 262 del 2006, modificativo del Dlgs 112 del 1999, aveva «natura afflittiva» e dunque ne sarebbe stata preclusa la applicazione retroattiva a periodi di imposta anteriori. Sia la Ctp che la Ctr avevano però dato torto alla società ed oggi la Sezione tributaria ha confermato. Secondo la Suprema corte, infatti, per prima cosa, l'aggio che ha ad oggetto il compenso spettante al concessionario per l'attività svolta «non può in alcun modo essere considerato inerente al tributo riscosso». Dunque, per questa sua «invariabile natura retributiva» deve essere determinato secondo la disciplina vigente al tempo dell'attività di riscossione «senza che possa farsi questione di irretroattività rispetto all'anno d'imposta a cui si riferisce il ruolo». E nel caso specifico la cartella è stata formata e notificata nel 2011, quindi - scrive la Cassazione - è soggetta alla disciplina in vigore dal 2006 e sarebbe così anche qualora i fatti imponibili si riferissero ad un periodo precedente.

Respinta anche la questione di costituzionalità. «Il fatto – scrive la Corte - che dal 2006 una quota fissa sia stata posta carico del contribuente, e ciò comporti una diversa situazione rispetto a coloro che hanno ricevuto le cartelle prima di tale data, rientra nella fisiologia delle modifiche normative che vanno sempre ad incidere, variando le, sulle situazioni preesistenti sempre che non siano modifiche caratterizzate da elementi di irrazionalità intrinseca, nella specie insussistente, non possono essere considerate come violazione dell'articolo 3 della Costituzione».

Infine, per la Corte non è possibile neppure sollevare la questione pregiudiziale davanti alla Corte Ue. Per i giudici, infatti, «non sussiste alcun ragionevole dubbio in ordine alla valutazione che la disciplina in questione non rappresenta un aiuto di Stato, infatti, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia la qualificazione come aiuto di Stato esige che siano soddisfatte tutte le condizioni enunciate dall'articolo 107 del Tfue a partire dal fatto, nella specie insussistente, che debba trattarsi di un intervento dello Stato attuato mediante risorse statali; quindi tale intervento dovrebbe incidere sugli scambi tra gli stati membri e concedere un vantaggio selettivo al suo beneficiario, infine dovrebbe falsare o minacciare di falsare la concorrenza». «Il concetto di aiuto di Stato difatti pur comprendendo qualsiasi intervento che diminuisca gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un'impresa, implica comunque la medesima natura delle sovvenzioni in senso stretto e l'idoneità a produrre i medesimi effetti».

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