Controlli e liti

Il passaggio generazionale giustifica gli scarsi risultati

L’inesperienza degli eredi legittima lo scostamento dagli studi di settore

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Il cambio generazionale con eredi inesperti può comportare delle ripercussioni sulla gestione dell’impresa, poiché potrebbero assumere errate decisioni e non valutare adeguatamente le spese. Ad affermarlo la Cassazione con l’ordinanza 29470/2021.

La vicenda trae origine da un accertamento fondato sullo scostamento rispetto al risultato degli studi di settore.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario eccependo, nel merito, che gli scarsi risultati erano dipesi essenzialmente da inesperienza dei titolari subentrati al padre fondatore dell’azienda.

Entrambi i giudici di merito confermavano quasi totalmente la pretesa e la contribuente ricorreva così in Cassazione, lamentando, in estrema sintesi, un’omessa valutazione delle prove prodotte.

I giudici di legittimità, in accoglimento del ricorso, hanno valorizzato elementi di merito trascurati dal collegio di appello.

In particolare, la Cassazione ha rilevato che non potevano escludersi delle difficoltà nella riorganizzazione dell’azienda dopo la scomparsa del fondatore, che gestiva in via esclusiva l’impresa.

In seguito, infatti, erano subentrati prima tutti i figli e poi solo due, nessuno dei quali però aveva esperienza non avendo avuto ruoli attivi nell’azienda del padre.

Secondo la Suprema corte, quindi, era verosimile che gli «inesperti eredi» avessero mal valutato decisioni su impegni di spesa, sui relativi tempi di recupero e sulla loro sostenibilità.

Inoltre, proprio perché nessuno aveva collaborato in precedenza con il padre, occorreva un adeguato tempo per rinnovare la fiducia con gli interlocutori dell’azienda.

In una tale situazione, quindi, diversamente da quanto sostenuto dall’Agenzia nel proprio accertamento, era evidente che l’attività aziendale avesse certamente risentito dei cambiamenti intervenuti.

La sentenza ha poi affrontato un altro aspetto particolarmente interessante: la società svolgeva in via prevalente un’attività rivolta ad una pubblica amministrazione, i cui ricavi sono necessariamente certi e controllati, e solo in via minoritaria, offriva servizi ai privati.

Ne conseguiva così che i maggiori ricavi determinati dall’Ufficio potevano riguardare solo la parte “privata”. Tuttavia, in base alla quantificazione contenuta nell’atto impositivo, risultava la paradossale situazione per la quale i ricavi dell’attività minoritaria erano di poco inferiori a quelli dell’attività prevalente.

Ciò consentiva ulteriormente di dubitare dell’attendibilità dell’applicativo Gerico.

Sebbene la pronuncia riguardi gli studi di settore, le considerazioni operate dai giudici, di assoluto buon senso, sembrano applicabili anche ad altre ipotesi.

Valga per tutti l’esempio della frequente contestazione di antieconomicità di un’operazione perché da un controllo a posteriori, l’Ufficio non ha rilevato guadagni adeguati.

Fermo restando che il legislatore non ha escluso la deducibilità del “cattivo affare”, alla luce di tale pronuncia, è verosimile che il giudice debba valutare anche aspetti più sostanziali delle scelte operate dall’imprenditore.

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