Adempimenti

Iri, il comportamento concludente per evitare sanzioni sugli acconti

di Antonio Zappi

Tra le criticità irrisolte e connesse al rinvio dell’Iri persiste ancora quella riguardante la questione del mancato versamento degli acconti. Infatti, i soci o imprenditori Irpef e i soci delle società con i requisiti della “piccola” trasparenza (articolo 116 del Tuir) che, nella prospettiva di applicare il regime Iri già nel 2017, avessero calcolato gli acconti avvalendosi del metodo previsionale potrebbero essere incappati in un omesso/insufficiente versamento.

Pur sollecitata, con la legge di Bilancio 2018 una soluzione normativa per evitare conseguenze sanzionatorie non è arrivata, ma la dottrina, richiamando la risoluzione 176/E/2003, confida comunque nel fatto che, in passato, la prassi del Fisco ha già escluso sanzioni per il minor acconto versato sulla base di una norma poi modificata. Tuttavia, l’odierna ed auspicata disapplicazione sanzionatoria per gli omessi/insufficienti degli acconti propone una questione da risolvere non solo sul piano strettamente giuridico, ma anche su quello probatorio, poiché la manifestazione inequivoca dell’opzione per l’applicazione dell’Iri era una scelta postuma da formalizzare nella dichiarazione dei redditi 2018.

In altri termini, sebbene per il principio statutario della tutela dell’affidamento e della buona fede sia possibile sperare nelle Entrate per una disapplicazione di sanzioni e interessi per acconti versati entro il termine del saldo del 2017, non sembra comunque pacifico che ogni socio/imprenditore che non avesse versato gli acconti, pur rientrando la sua impresa nel perimetro soggettivo della possibile e “spiazzata” opzione Iri, possa ritenersi in condizione automatica di non applicazione di penalità, meramente affermando un’astratta volontà di adesione al nuovo regime e quindi, di converso, reclamando un puro atto di fede dell’agenzia delle Entrate.

Potrebbe, allora, risultare decisivo un comportamento concludente in grado di dare, se non piena prova, almeno qualche indizio dell’effettiva volontà del contribuente di voler realmente aderire al rinviato regime Iri già dal 2017, magari riportando nelle scritture contabili di detto periodo qualche chiaro richiamo al tributo (ad esempio, denominando tra le riserve di patrimonio netto la voce «riserve di utili ante-opzione Iri»). Conforterebbe, peraltro, la possibilità di sostenere l’inottemperanza al versamento dell’acconto per aver confidato nell’entrata in vigore dell’Iri, anche la circostanza di aver interamente reinvestito e non prelevato l’utile realizzato nell’anno, dando prova, quindi, di aver privilegiato proprio quello che il nuovo regime intende favorire.

Infine, poiché per l’applicabilità dell’Iri è necessario optare preventivamente per la contabilità ordinaria, le imprese che, nel periodo di imposta 2017, fossero transitate dalla contabilità semplificata all’ordinaria, acclarerebbero con una certa evidenza un comportamento concludente orientato all’adozione del regime, “aiutando” così le Entrate a discernere chi non ha versato acconti nella reale prospettiva dell’opzione, da chi li ha omessi per mera illiquidità o infedeltà.

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