Imposte

Extraprofitti energia, marginalità su operazioni attive e passive

Il provvedimento delle Entrate per l’acconto entro il 30 giugno; nessuna specificazione sulla base imponibile. Dati esposti nel 2023

di Raffaele Rizzardi

Va bene tassare i sovraprofitti delle imprese che producono o rivendono prodotti energetici, ma la fretta di incassare il 30 giugno l’acconto del 40% non ha certo consentito di chiarire i punti dubbi di questo provvedimento, che potrebbero determinare obiezioni di natura costituzionale.

Il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate , approvato ieri e reso noto in serata, ha come solo contenuto innovativo, rispetto al dettato della norma e alla conseguente parafrasi, di precisare che al momento non è previsto nessun modulo, e che i dati rilevanti saranno esposti in una sezione della dichiarazione annuale Iva da presentare nel 2023.

La base di calcolo viene riferita alla differenza tra operazioni attive e operazioni passive della procedura Lipe, cioè delle liquidazioni periodiche, e le imprese interessate dovranno pertanto cavarsela con la compilazione di un file Excel per poter eseguire il versamento.

A questo scopo si assume l’aumento della marginalità tra gli otto mesi del periodo 1° ottobre 2020–30 aprile 2021 e quello dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022.

La scelta di questo intervallo – non si poteva però fare diversamente vista l’esigenza di eseguire il versamento entro questo mese – potrà avere effetti diversi da un’impresa all’altra dello stesso settore, a seconda che i clienti beneficiassero o meno di contratti a prezzo garantito per uno o due anni.

L’elemento di maggiore criticità è verosimilmente nella nozione soggettiva: essere produttori, rivenditori o importatori di prodotti energetici (ricordiamo che anche l’energia elettrica è un bene e non un servizio) comporta che si deve pagare il 25% dell’incremento di marginalità per l’intera attività esercitata, senza che questa somma sia deducibile.

Torna alla mente l’indeducibilità dell’Irap sul costo del lavoro, strenuamente difesa dal fisco, ma che poi ha dovuto rientrare per la palese illegittimità di applicare l’imposta sul reddito anche su un importo di cui era venuta meno la disponibilità per il contribuente.

Non dimentichiamo che nel Tuir – ma è così da sempre – il presupposto della tassazione è il «possesso» di redditi, possesso che ovviamente manca se l’imposta sul reddito viene calcolata su importi di cui il contribuente non ha la disponibilità.

Ovvio che non si tratta dell’unica distonia del sistema: basti pensare al privato che paga l’Imu sugli immobili affittati e il reddito si calcola ignorando che una parte del canone di locazione è servito a pagare il tributo locale.

Individuati i soggetti, l’analisi della liquidazione periodica Iva va fatta per gli interi importi oggetto di comunicazione, anche se verosimilmente questi soggetti in molti casi non si limitano all’attività di produzione, rivendita o importazione di energia elettrica, gas o prodotti petroliferi.

Il tributo non deve essere corrisposto se l’incremento della marginalità non supera il 10% tra il primo e il secondo periodo.

La norma di riferimento è l’articolo 37 del Dl 21 marzo 2022, n. 21, convertito nella legge 20 maggio 2022, n. 51, e prevede che il provvedimento delle Entrate possa individuare dati aggiuntivi da indicare nelle fatture di cessione e acquisto dei prodotti. Cosa che non è avvenuta, in quanto il riferimento al totale delle liquidazioni rende inutile ogni dettaglio.

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