Imposte

Diritto collegato a procedure infruttuose

di Giulio Andreani e Angelo Tubelli

L’articolo 26, comma 2 del Dpr 633/1972 attribuisce al creditore di un’impresa insolvente la facoltà di recuperare, tramite l’emissione di apposita nota di variazione in diminuzione, l’Iva relativa al corrispettivo “non incassato” (in tutto o in parte) a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose ovvero a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato o di un piano attestato (rispettivamente ex articoli 182-bis e 67 della legge fallimentare).

In origine il presupposto per l’emissione della nota di variazione, previsto dal citato comma 2, era l’“avvio” di una procedura concorsuale e, a seguito dell’eliminazione della parola “avvio” successivamente intervenuta, il Fisco (circolare 77/E/2000) ha ritenuto che solo la conclusione infruttuosa (per il creditore) della procedura concorsuale ne legittimerebbe l’emissione. Da questa posizione (ribadita con circolare 8/E/2017) discende che il creditore potrebbe emettere la nota di variazione:

• nel fallimento, solo con il piano di riparto finale oppure, in sua assenza, alla scadenza del termine per opporre reclamo contro il decreto di chiusura della procedura;

• nel concordato fallimentare, alla data di definitività del decreto di omologazione;

• nel concordato preventivo, solo al momento in cui il debitore conclude gli adempimenti assunti con la relativa domanda.

Questo orientamento (cui il legislatore aveva cercato di rimediare attraverso le modifiche previste nella legge di Bilancio 2016, mai entrate in vigore) non è tuttavia condivisibile, perché:

• la locuzione “rimaste infruttuose” è letteralmente riferibile alle procedure esecutive individuali;

• a causa del tempo intercorrente tra l’apertura e la chiusura di una procedura concorsuale, il creditore sovente deve farsi carico dell’imposta “anticipata” all’erario, in violazione dei principi di neutralità e proporzionalità.

Per evitare ciò, dovrebbe ammettersi la possibilità di dimostrare l’infruttuosità della procedura concorsuale anche prima della definizione di quest’ultima, quando cioè l’entità del mancato incasso diviene sostanzialmente nota. In particolare, nei concordati preventivi in cui la percentuale di soddisfacimento è chiaramente determinata fin dall’inizio, non si vede perché, per emettere la nota di credito, si dovrebbe attendere la completa esecuzione del concordato; in tal caso, infatti, l’entità del mancato incasso è certa sin dalla omologazione del concordato: spesso aumenta, ma non si riduce.

Queste censure trovano ora conferma nel principio sancito dalla Corte di giustizia Ue, in base al quale subordinare alla sua chiusura il diritto di emettere la nota di variazione in diminuzione, per infruttuosità della procedura concorsuale, è illegittimo qualora questa «possa durare più di dieci anni». A ben vedere, infatti, la Corte ha statuito che tale diritto va riconosciuto non alla scadenza del decimo anno, bensì ogniqualvolta «il soggetto passivo segnala l’esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato», senza dovere attendere la conclusione della procedura. Già la domanda di concordato preventivo e, quanto al fallimento, le relazioni del curatore ex articoli 104-ter e 33, comma 5 della legge fallimentare attestano con oggettività l’esistenza di tale circostanza.

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