Controlli e liti

No a una data retention illimitata contro i reati di market abuse

I giudici europei chiariscono i confini da osservare contro i crimini finanziari. Centrale il rispetto della direttiva su vita privata e comunicazioni elettroniche

di Giovanni Negri

No a una conservazione assoluta e indiscriminata dei dati di traffico telefonico per contrastare gli abusi di mercato. Lo afferma la Corte di giustizia europea nella sentenza depositata ieri nelle cause C-339/20 e C-397/20. A carico di due imputati erano stati avviati procedimenti penali in Francia per i reati di abuso di informazioni privilegiate, abuso secondario di informazioni privilegiate, favoreggiamento, corruzione e riciclaggio. Procedimenti che prendevano le mosse da dati personali provenienti da chiamate telefoniche effettuate dagli imputati, generati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica, che erano stati comunicati al giudice istruttore da parte dell’Autorité des marchés financiers (Amf), equivalente della nostra Consob, dopo un’indagine condotta da quest’ultima.

Ai giudici europei si era rivolta la Corte di cassazione francese chiedendo di verificare la compatibilità della disciplina nazionale che preveda, a carico degli operatori di servizi di comunicazione elettronica, a titolo preventivo, per finalità di contrasto dei reati di abuso di mercato, di cui fa parte l’abuso di informazioni privilegiate, una conservazione generalizzata e indiscriminata dei dati relativi al traffico per un anno a decorrere dal giorno della registrazione.

La Corte di giustizia osserva innanzitutto che né la direttiva nè il regolamento comunitario sugli abusi di mercato possono rappresentare fondamento giuridico di un obbligo generale di conservazione delle registrazioni di dati sensibili relativi al traffico in possesso degli operatori per l’esercizio dei poteri delle autorità competenti in materia finanziaria. Per la Corte Ue, poi, che la lettura della direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche non autorizza una conservazione di dati così ampia ed estesa come quella prevista dalla legislazione francese.

La Corte ricorda poi che l’ammissibilità degli elementi di prova ottenuti rientra, sulla base del principio di autonomia procedurale degli Stati membri, nell’ambito del diritto nazionale, fatto salvo il rispetto, in particolare, dei principi di equivalenza e di effettività. Quest’ultimo principio impone al giudice penale nazionale di escludere informazioni ed elementi di prova che siano stati ottenuti attraverso una conservazione generalizzata e indiscriminata incompatibile con il diritto dell’Unione se gli interessati non sono in grado «di svolgere efficacemente le proprie osservazioni in merito a tali informazioni e a tali elementi di prova, riconducibili a una materia estranea alla conoscenza dei giudici e idonei a influire in maniera preponderante sulla valutazione dei fatti».

Una contrarietà quella alla conservazione generalizzata di dati sensibili che la Corte ha confermato sempre ieri anche nella sentenza nelle cause riunite C-793/19 e 794/19, ricordando però che per la lotta alla criminalità grave, gli Stati membri possono tuttavia, nel rigoroso rispetto del principio di proporzionalità, prevedere in particolare una conservazione mirata e/o rapida di simili dati oltre a una conservazione generalizzata e indiscriminata degli indirizzi IP.

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