Controlli e liti

Reati economici e corruzione: stretta sui «colletti bianchi»

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di Giovanni Negri

Non per forza deve essere considerato un dato esaltante. Tuttavia è un segnale del tentativo di condurre una lotta più seria alla criminalità dei “colletti bianchi”. A margine del convegno «Il racconto della giustizia che cambia», organizzato al Sole 24 Ore per il decennale della trasmissione di Radio 24 «Storiacce», è emerso l’inedito quadro dei detenuti per reati economici e contro la pubblica amministrazione. Con un trend di crescita significativa in entrambe le categorie.

Vediamo nel dettaglio. Nel perimetro dei reati economici vengono fatti rientrare il riciclaggio, la manipolazione del mercato e l’abusivo esercizio della professione finanziaria. In due anni (scarsi), dal 2015 al 2017, si è passati da 775 detenuti a 865 con un aumento di 90 unità. In questa categoria i dati del ministero non permettono di distinguere chi è in carcere per effetto di una sentenza diventata definitiva da chi invece è colpito da misura cautelare.

Cosa che invece è possibile per quanto riguarda i reati contro la pubblica amministrazione. Anche in questo settore della criminalità, dove il reato principale è ovviamente la corruzione, oggetto di misure di riforma nel corso della legislatura (nel 2015, per esempio, con l’aumento delle sanzioni sia nel minimo, ora sei anni, sia nel massimo, adesso 10 anni e limiti al patteggiamento, con obblighi di riparazione pecuniaria), l’incremento del numero dei detenuti è netto. Su un arco di tempo più ampio, dal 2010 cioè, il totale dei detenuti è passato da 875 a 1.123; in crescita anche quelli a titolo definitivo da 460 a 475. I detenuti per truffa contro lo Stato e contro l’Unione europea sono invece 138.

Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, nel suo intervento al convegno ha peraltro esortato a diffidare da una dimensione “panpenalistica”, da un affidamento eccessivo nella giustizia penale, quasi che ogni problema, anche di coesione sociale, debba essere risolto dall’autorità giudiziaria. «Abbiamo provato ad affrontare in maniera più sistematica anche la giustizia penale – ha rivendicato Orlando –, inserendo da ultimo la riserva di Codice, misure di depenalizzazione, nuove cause di estinzione del reato, dalla tenuità del fatto alle condotte riparatorie. Eppure siamo stati costantemente criticati, a volte anche in maniera sorprendente da parte della magistratura. Che quando poteva intervenire tempestivamente per evitare di commettere quelli che poi ha giudicato errori non sempre lo ha fatto».

E il riferimento è stato soprattutto alle critiche fatte dall’Anm alla recente riforma del processo penale, esito in larga parte, ha ricordato Orlando, dei lavori della commissione guidata dal primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio.

E proprio sul versante della lotta alla corruzione, Orlando ha spiegato che va affrontata in maniera corretta, nell’ambito di un’amministrazione della giustizia che non è stata certo contro le imprese, «perché la corruzione non può diventare il pretesto per interventi autoritari e va combattuta anche per gli effetti distorsivi che ha sulla concorrenza».

E della scelta di procedere con misure di tutela del tessuto imprenditoriale è testimonianza anche quella che, a giudizio di Orlando, sarà la riforma di sistema che chiuderà la legislatura, quella della Legge fallimentare che, ha ricordato il ministro, è datata 1942.

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