Controlli e liti

Il Qrcode non basta a provare l’emissione se è solo in prima pagina

di Stefano Sereni

Per la verifica del rispetto dei termini decadenziali non è sufficiente il codice Qr apposto solo sulla prima pagina dell’atto impositivo, perché in tal caso la relativa certificazione non riguarderebbe l’intero documento. Ad esprimere il principio è la sentenza n. 138/1/2022 della Ctp di Reggio Emilia (presidente e relatore Montanari), depositata lo scorso 16 giugno.

L’ufficio notificava un avviso a una società a ristretta base azionaria contestando, per il 2015, la percezione di somme in evasione d’imposta. Successivamente, nel 2021, veniva emesso l’atto impositivo nei confronti del socio, tassato per trasparenza, al quale veniva imputata la percezione di utili distribuiti in nero.

Il contribuente impugnava l’accertamento, eccependo preliminarmente che non vi fosse la prova che l’atto fosse stato emesso entro il 31 dicembre 2020. In estrema sintesi veniva contestato il mancato rispetto del termine decadenziale previsto dall’articolo 157 del Dl 34/2020: la norma, emessa nell’ambito dei provvedimenti emergenziali derivanti dalla pandemia, prevedeva che gli atti in scadenza a fine 2020 dovessero essere emessi entro il 31 dicembre di tale anno, ma notificati successivamente, nel periodo compreso tra il 1° marzo 2021 e il 28 febbraio 2022, salvi casi di indifferibilità e urgenza.

La difesa dell’ufficio sul punto si basava sul fatto che sulla copia cartacea dell’accertamento notificato al socio era presente il glifo, tramite il quale era possibile accedere al documento informatico e verificare sia la corrispondenza con la copia analogica, sia la sottoscrizione e, quindi, la data di formazione dell’atto, in conformità con quanto disposto dall’articolo 23, comma 2-bis del Cad.

Si tratta, in pratica, di una firma basata su un sistema di chiavi crittografiche, che consente al titolare firmatario e al destinatario di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico. Il codice sostituisce a tutti gli effetti la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale, attribuendo quindi validità all’atto. Con la scansione del codice si accede a una pagina dalla quale è possibile consultare i dati relativi alla protocollazione, il documento in formato pdf e la firma digitale apposta.

Secondo la Ctp l’operato dell’ufficio non era, però, stato corretto. Sull’accertamento era presente sia il glifo che un timbro dell’Agenzia che riportava un numero progressivo e la data, ma tali elementi grafici apparivano riprodotti esclusivamente nella prima pagina dell’atto, ma non in quelle successive. A parere del collegio, l’ufficio così non aveva compiutamente adempiuto all’onere della prova che su di esso incombeva in ordine all’emissione dell’intero atto, a seguito dell’eccezione formulata dal contribuente. Pertanto non vi è certezza del rispetto dei termini decadenziali per l’emissione dell’avviso, il quale è dunque annullato.

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