Controlli e liti

Prelievi riqualificati in compensi, le relative ritenute vanno dedotte

Se il Fisco riqualifica in compensi i prelevamenti degli amministratori, le relative ritenute vanno dedotte dal reddito della società

di Marco Ligrani

Se il Fisco riqualifica in compensi i prelevamenti degli amministratori, le relative ritenute vanno dedotte dal reddito della società. È questo, in estrema sintesi, il principio affermato dalla Ctr Lombardia con sentenza n. 1373/1/2022 (presidente Chindemi, relatore Labruna), che ha rigettato l’appello dell’ufficio confermando l’annullamento parziale di un accertamento, emesso a carico di una Srl.

La vicenda prende le mosse da un Pvc della guardia di Finanza, con il quale si rilevavano frequenti e sistematici prelievi dai conti della società; la quota eccedente l’utile di esercizio veniva, dunque, riqualificata quale compenso (non deducibile) autoliquidato dai soci in qualità di amministratori, sul quale risultavano omesse le relative ritenute.

Il successivo accertamento veniva impugnato dalla Srl che, nel merito, sosteneva che le ritenute avrebbero dovuto essere scomputate del reddito d’impresa, onde evitare una evidente doppia imposizione. L’agenzia delle Entrate, dal canto suo, escludeva la deducibilità del compenso (e delle relative ritenute) in assenza di un’apposita previsione statutaria o di una delibera dell’assemblea dei soci.

La Ctp accoglieva il motivo di ricorso e la sentenza veniva impugnata dalle Entrate (cui resisteva, ma tardivamente, la società). L’ufficio evidenziava, in particolare, come la natura di compensi delle somme accertate non fosse stata, comunque, mai contestata dalla società ricorrente.

I giudici lombardi, tuttavia, hanno rigettato l’impugnazione dell’Agenzia, confermando il verdetto di primo grado parzialmente favorevole alla Srl. In particolare, nonostante la qualificazione dei prelievi si basasse su evidenze contabili e sulle relative delibere concernenti la destinazione dell’utile di esercizio, la Ctr ha ribadito come le Entrate, avendo riqualificato tali attribuzioni come compensi, avrebbero dovuto – in ogni caso - tenerne conto ai fini della rideterminazione del reddito imponibile della società, sostituto d’imposta.

È evidente, infatti, che quelle somme costituivano costi deducibili dal reddito d’impresa e con esse le relative ritenute, pena un evidente fenomeno di doppia tassazione economica, espressamente vietata dall’articolo 163 del Tuir.

Del resto, ha precisato il collegio lombardo, la natura di impugnazione-merito (e non di mera impugnazione-annullamento) del processo tributario impone al giudice di sostituirsi all’atto amministrativo annullato, (anche solo) parzialmente; al fine di quantificare, entro i limiti fissati dalle richieste formulate dalle parti in causa, la giusta pretesa tributaria (Sezioni unite 25790/2009 e Cassazione 26157/2013, 6918/2013 e 13034/2012).

Per questo, i giudici hanno concluso che, assodata la natura di compensi di quei prelevamenti, gli stessi costituiscono costi, come tali deducibili dall’imponibile unitamente alle relative ritenute, erroneamente disconosciute dall’ufficio.

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