Imposte

Salta la prova video: si accorcia la lista dei documenti salva banche

Più facile per gli istituti provare il requisito della diligenza negli acquisti

di Giuseppe Latour

Nemmeno il tempo di scendere in campo e va subito in pensione il Var dei cantieri che accedono alla cessione dei crediti. Il testo finale del decreto blocca crediti, andato in Gazzetta Ufficiale giovedì notte, cancella sul nascere uno dei requisiti sui quali sarà misurata la diligenza di chi acquista i crediti, come le banche. L’elenco dei documenti scende da dieci a nove elementi. Salta, cioè, la prova video, inserita nelle prime bozze del testo. Questo alleggerimento semplifica la vita agli istituti di credito che, non a caso, nel comunicato veicolato dall’Abi hanno apprezzato la semplificazione portata dal provvedimento.

Il testo interviene sulla questione della responsabilità solidale tra cedente e cessionario per le violazioni tributarie. Chi utilizza in compensazione il credito d’imposta, infatti, può essere considerato responsabile in solido di eventuali violazioni che hanno generato la detrazione. Questa responsabilità congiunta è uno dei fattori che più hanno preoccupato le banche in questi mesi.

Secondo la nuova norma, allora, il concorso nella violazione «è in ogni caso escluso con riguardo ai cessionari che dimostrano di aver acquisito il credito di imposta e che siano in possesso della seguente documentazione». Alcuni documenti, quindi, consentono di blindare la posizione degli acquirenti.

Il decreto prevedeva in origine che, tra gli elementi da conservare come prova del comportamento accorto del compratore, ci fosse «la documentazione fotografica o video, su file geolocalizzato con firma digitale del direttore dei lavori, dalla quale consti l’effettività delle opere realizzate». Si tratta di un elemento che, in qualche modo, riprendeva le procedure attivate nei mesi scorsi da alcuni advisor, come Deloitte, per provare la reale esistenza del cantiere. La bozza di decreto aggiungeva, però, un elemento che in genere oggi non viene richiesto, depotenziando di molto gli effetti della norma per il passato: la firma digitale. Nel testo finale viene tutto cancellato.

Per il resto, l’elenco è confermato. Anche se, come detto, i documenti scendono a nove (tra questi, la visura catastale, la comunicazione alla Asl, i titoli abilitativi, le fatture, le asseverazioni, gli attestati di prestazione energetica) e compare un’altra norma. Il mancato possesso di alcuni documenti da parte delle banche, infatti, non costituirà, da sola, causa di responsabilità solidale per dolo o colpa grave del cessionario. Quindi, viene esplicitato che, se la banca o l’altro acquirente non ha tutti i documenti indicati dalla legge, questo da solo non è «causa di responsabilità solidale per dolo o colpa grave» in caso di violazioni. Non è detto, infatti, che tutti gli intermediari abbiano acquisito tutti questi documenti per tutte le operazioni di cessione.

In questi casi, basterà fornire, con ogni altro mezzo a disposizione, la prova della propria diligenza «o non gravità della negligenza». Le eventuali contestazioni dovranno provare che l’acquirente ha agito con dolo o colpa grave.

Resta, comunque, intatto il problema dei sequestri. Sul punto il decreto non interviene. Come affermato dalla Cassazione in diverse sentenze, allora, l’eventuale sequestro di crediti in odore di frode continuerà a produrre effetti anche sull’acquirente in buona fede.

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