Controlli e liti

Eccessiva onerosità: l’inerenza dei costi è qualitativa

La Ctp di Padova ha ribadito che, in caso di contestazione, il disconoscimento dell’inerenza delle spese di materia prima, da parte dall’Agenzia, è illegittimo se il giudizio è in chiave quantitativa.

La Ctp di Padova, con sentenza 309/2/2022 (presidente e relatore De Rosa), ha ribadito il consolidato principio secondo cui, in caso di contestazione per presunta eccessiva onerosità del costo della materia prima, il relativo disconoscimento dell’inerenza operato dall’agenzia delle Entrate è legittimo solo se il giudizio è in chiave qualitativa e non quantitativa.

Il caso riguarda una contestazione di indeducibilità per presunta eccessività del costo della materia prima (olio), sostenuta da un fabbricante di grissini; nel corso dell’attività istruttoria è emerso che , per altri procedimenti, il cedente ha emesso delle fatture per operazioni inesistenti. A fronte di tali rilievi, sollevati nei confronti di altri soggetti, l’ufficio ha disconosciuto parte dell’acquisto della materia prima effettuata dal cessionario, rilevando un presunto difetto di inerenza del costo.

I giudici di primo grado, con una motivazione condivisibile, hanno rilevato che la pretesa erariale è infondata, in quanto basata su un’applicazione errata del principio di inerenza. E infatti, la giurisprudenza di legittimità afferma che sono inerenti le spese che rientrano qualitativamente nella sfera dell’impresa e che da essa discendono (Cassazione, 9289/2019 e 3170/2018). In sostanza, il costo deve essere sostenuto con lo scopo di fornire un’utilità, diretta, indiretta o anche solo potenziale, all’attività d’impresa.

Ciò si traduce nella verifica, da parte dell’amministrazione finanziaria, della coerenza a livello generale delle spese sostenute dal contribuente, al fine di verificare che queste siano in ricollegabili all’attività d’impresa svolta. Sicché, ai fini della deducibilità di un costo, è sufficiente che questo sia correlato qualitativamente all’oggetto sociale e alla sfera societaria.

Tale nozione di carattere qualitativo supera la precedente applicazione quantitativa del principio in parola: prima l’agenzia delle Entrate poteva sindacare la congruità dell’elemento negativo in presenza di comportamenti antieconomici, verificando la sussistenza diretta del costo sostenuto con l’utilità in concreto ottenuta dall’impresa. In passato, quindi, doveva sussistere un nesso utilitaristico tra costo e ricavo.

La nuova applicazione del principio di inerenza, del resto, si fonda su una corretta valorizzazione del principio costituzionale di capacità contributiva. Pertanto, la valutazione dell’inerenza di un costo rispetto all’attività d’impresa impone un giudizio di tipo qualitativo; da ciò, emerge anche che estraneo a tale principio è il giudizio di apprezzamento del costo in termini di antieconomicità o congruità, che non sono espressione dell’inerenza ma sono dei meri indici sintomatici dell’inesistenza di tale requisito (Cassazione, 23872/2020).

In ogni caso, la prova dell’inerenza spetta al contribuente. I giudici di primo grado hanno, dunque, correttamente valorizzato i principi sopra richiamati: l’inerenza si fonda sulla correlazione tra spesa e attività svolta, anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile.

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