Finanza

Revocati i crediti d’imposta ricerca e sviluppo non indicati in nota integrativa

Il Fisco contesta il deficit di informazioni anche nella relazione sulla gestione ma la stretta non trova giustificazione nelle norme di riferimento

di Edoardo Belli Contarini

Il bilancio di esercizio. Un altro ostacolo per la fruizione del credito di imposta ricerca e sviluppo.

Con la ripresa delle attività di verifica rimaste bloccate per la pandemia, l’amministrazione finanziaria procede al controllo della fruizione del credito di imposta R&S, disciplinato dall’articolo 3 del Dl 145/2013 e relativo Dm di attuazione del 27 maggio 2015, nella versione antecedente alla analoga e più ampia disciplina prevista dall’articolo 1, commi 198 e seguenti, della legge n. 160/2019 e relativo decreto Mise 26 maggio 2020, ma con impatti potenziali anche su quest’ultima misura (trattasi del credito di imposta per R&S, innovazione tecnologica, digital 4.0, economia circolare e design).

Nell’ambito di tali controlli, l’Agenzia recupera il credito di imposta utilizzato in compensazione, contestando non solo il requisito della «novità» che deve necessariamente connotare gli investimenti agevolati, ma anche il deficit di informazioni che l’impresa è tenuta a fornire, in relazione ai costi di ricerca e sviluppo, nell’attivo dello stato patrimoniale, in nota integrativa e nella relazione sulla gestione (articoli 2424, 2426, n.5, 2427, n. 3 e 2428, comma 3, n. 1, del Codice civile come modificati dal Dlgs 139/2015).

In effetti, con riferimento agli esercizi pregressi (2015-2019), molte imprese si sono avvedute in ritardo della possibilità di fruire del credito di imposta R&S, anche a seguito del tardivo stabilizzarsi della prassi amministrativa. Per tale motivo, i contribuenti hanno presentato dichiarazione integrativa – con predisposizione ex post della certificazione della documentazione contabile dei costi e della relazione tecnica – allo scopo di effettuare il recapture degli oneri comunque sostenuti e imputati nei precedenti bilanci ed eleggibili al medesimo credito (come pure consentito dall’Agenzia, si veda la circolare n. 13 del 27 aprile 2017).

È di tutta evidenza però, che l’impresa che si è accorta soltanto a posteriori di avere i requisiti per l’accesso al credito di imposta, pur avendo sostenuto e imputato nei precedenti bilanci i relativi oneri, in quanto effettivi, ammissibili ed inerenti, non ha potuto rendere a suo tempo le dovute informazioni concernenti i costi di sviluppo né nella nota integrativa né nella relazione sulla gestione, come prescritto dagli articoli 2427 e 2428 del Codice civile (si veda l’Oic 24, nn. 46 e seguenti); da qui il diniego della finanza alla spettanza del contributo per R&S.

È ben vero che la nota integrativa e la relazione sulla gestione rappresentano, rispettivamente, «parte integrante» e un «corredo» del bilancio di esercizio, talchè (anche) la predisposizione postuma del set documentale prescritto dalla normativa speciale potrebbe acuire il sospetto di un indebito utilizzo del credito; tuttavia, qualora sia riscontrabile la buona fede del contribuente, il recupero a tassazione non appare comunque legittimo.

Anzitutto, né l’articolo 3 del Dl 145/2013 né il regolamento di attuazione (Dm 27 maggio 2015) prevedono alcun adempimento da espletarsi, a pena di decadenza, in sede di redazione del bilancio di esercizio, talché, anche in difetto di indicazione dei costi di sviluppo nella nota integrativa e nella relazione sulla gestione, il beneficio non può essere disconosciuto.

Ciò che trova conferma nella disciplina previgente del credito di imposta R&S e in quella successiva (si vedano, rispettivamente, l’articolo 1, commi 281 e seguenti, della legge 296/2006 e relativo Dm n. 76 del 28 marzo 2008, e l’articolo 1, commi 198 e seguenti, della legge 160/2019 e relativo Dm 26 maggio 2020) dalla cui disamina non è dato di riscontrare alcuna prescrizione normativa in termini di perdita del beneficio nei casi di omessa o incompleta indicazione dei costi di sviluppo negli allegati al bilancio ex articoli 2427 e 2428 del Codice civile.

Del resto, la stessa Agenzia afferma che perfino l’omessa compilazione del quadro RU della dichiarazione, ove indicare il credito spettante, non rappresenta una causa di decadenza dall’agevolazione, invero non prevista espressamente dalla legge, come tale rimediabile con la presentazione di apposita «dichiarazione integrativa a favore» (si veda da ultimo la risposta a interpello dell’Agenzia n. 396/2021). Tale approccio sostanziale risulta in sintonia anche con il carattere “automatico” della agevolazione e con l’assenza dei limiti generali e specifici previsti per l’utilizzo in compensazione dei crediti di imposta R&S.

Va poi aggiunto che quando il legislatore ha voluto inserire ulteriori incombenti documentali, lo ha fatto esplicitamente, come è avvenuto di recente con l’introduzione dell’obbligo di asseverazione della relazione tecnica. Pertanto, in assenza di una norma tributaria specifica, la surrettizia introduzione di un ulteriore adempimento da osservarsi a pena di decadenza in sede di bilancio contrasta con i principi di buona fede, di collaborazione e di semplificazione del procedimento tributario di cui agli articoli 97 della Costituzione, 6 e 10 della legge 212/2000 e 1 della legge 241/1990.

Anche dalla sanatoria contemplata nell’articolo 5 del Dl 146/2021, tuttora in attesa del relativo provvedimento attuativo – dalla quale è esclusa la «mancanza di documentazione idonea a dimostrare il sostenimento delle spese ammissibili al credito di imposta R&S» – sembra evincersi che l’irregolarità contabile di cui trattasi è riconducibile tra le violazioni di natura formale; in quanto tale, detta irregolarità non inficia la fruizione del beneficio, tenuto conto del regime legale della decadenza, che rappresenta un istituto eccezionale in deroga al principio generale per cui i diritti soggettivi non sono soggetti a limitazioni, di guisa che non è suscettibile di un’estensione analogica.

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