Controlli e liti

Dichiarazione fraudolenta per l’appalto fittizio

Cassazione: non sussiste il diritto alla detrazione per l’operazione che ordinariamente non sconterebbe Iva. Tale situazione costituisce un indebito recupero

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Commette il reato di dichiarazione fraudolenta chi utilizza fatture riferite a un contratto di appalto dissimulante, in realtà, una illegittima intermediazione di manodopera e ciò anche se l’Iva è stata versata dall’emittente. Non sussiste, infatti, il diritto alla detrazione per l’operazione che ordinariamente non sconterebbe Iva: tale situazione costituisce un indebito recupero. Ad affermarlo è la Cassazione, III sezione penale, con la sentenza 11633 depositata il 30 marzo.

La vicenda trae origine dall’impugnazione in Cassazione da parte di due indagate del rigetto dell’istanza di riesame su di un decreto di sequestro preventivo. Il provvedimento era stato emesso anche per il reato di dichiarazione fraudolenta con utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti (articolo 2, Dlgs 74/2000). Secondo l’accusa, le fatture erano riferite a fittizi contratti di appalto che, in realtà, dissimulavano un’illecita somministrazione di manodopera.

Con i rispettivi ricorsi, le indagate lamentavano, in estrema sintesi, un’errata valutazione delle prove e vizio di legge, soprattutto alla luce del fatto che nella specie, mancasse un danno all’erario poiché l’Iva risultava regolarmente versata.

Innanzitutto, i giudici di legittimità hanno rilevato che in esito alle indagini, la società emittente le fatture aveva mascherato, attraverso fittizi contratti di appalto, un’attività illecita di somministrazione di manodopera. La fatturazione, quindi, riferiva un’operazione soggettivamente inesistente poiché c’era diversità tra il soggetto che aveva effettuato le prestazioni (ossia i singoli lavoratori) e quello indicato nei documenti. Secondo la Cassazione, quindi, l’Iva conseguente ad un’operazione ordinariamente esclusa da imposizione (come previsto per la somministrazione di manodopera), genera un indebito credito in capo alle società utilizzatrici delle fatture (ossia le committenti dei fittizi contratti).

L’imposta, comunque, è detraibile solo se indicata in un documento proveniente dal soggetto che effettivamente ha partecipato all’operazione commerciale. Tale conclusione è fondata nel presupposto che l’Iva è versata da chi ha eseguito prestazioni imponibili che a sua volta può compensarla con quella corrisposta per l’acquisto di beni e servizi; diversamente, il versamento dell’Iva a un soggetto non operativo o fittiziamente interposto genera un indebito recupero dell’imposta.

In tale contesto, la Suprema Corte ha rilevato che una simile interpretazione non contrasta con la giurisprudenza della sezione tributaria, secondo la quale il contribuente non ha diritto alla detrazione se l’amministrazione dimostri, anche con elementi indiziari, l’assenza di buona fede.

Tanto meno contrasta con il principio di neutralità, la circostanza che il soggetto emittente la fattura dell’operazione inesistente abbia comunque versato l'imposta.

La norma (articolo 21, comma 7, Dpr 633/72) prevede che l’Iva sia dovuta per l’intero ammontare indicato nella fattura anche se si tratta di un’operazione inesistente. Tuttavia, ciò non autorizza automaticamente alla detrazione dell’imposta. Secondo i principi unionali, affinché non sussista una violazione della neutralità, occorre che in ipotesi di Iva indetraibile, assolta dall’emittente, sia garantita la possibilità di rettifica dell’imposta indebitamente fatturata in presenza di buona fede.

Nella specie, secondo i giudici di legittimità, dalle indagini era stata esclusa la sussistenza della buona fede e, comunque, non era stato provato l’effettivo versamento dell’imposta da parte della società emittente.

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