Controlli e liti

Terzo settore, la riforma riscrive il sistema dei controlli

di Filippo Dami e Gabriele Sepio

Nella disciplina degli enti non commerciali, il sistema dei controlli diretti a verificare l’effettiva sussistenza dei requisiti che consentono l’attribuzione di tale qualificazione soggettiva assume un ruolo di indubbia centralità. L’efficacia dei relativi meccanismi è, infatti, fondamentale per assicurare che ai regimi “di vantaggio” previsti per questo settore accedano solo coloro che lo meritano, in ragione delle loro finalità e dell’assetto organizzativo effettivo attraverso il quale le perseguono. Per contrastare gli (ancora molto frequenti) abusi che, insieme, pregiudicano il terzo settore (sottraendo le sempre più limitate risorse disponibili e “appannandone” l’immagine presso l’opinione pubblica) e le stesse imprese (per la concorrenza sleale di coloro che sfruttano in modo improprio i benefici), occorrono norme chiare e di semplice applicazione sia per i gli operatori che per la Pubblica amministrazione. Nell’ambito di tali norme deve essere, in particolare, trovato un adeguato punto di equilibrio tra la necessità per cui chi controlla possa contare su adeguati strumenti istruttori e quella di limitare gli adempimenti richiesti (sul piano più strettamente documentale) ad entità formate da persone che (tipicamente) dedicano, già sottraendolo alla propria quotidianità, una parte del loro tempo a meritevoli attività di utilità sociale.

Le norme attualmente vigenti non hanno del tutto queste caratteristiche, specie quelle che riguardano il sistema fiscale. Troppe appaiono, in effetti, le difficoltà create da regimi alternativi richiamati di volta in volta per soggetti diversi da quelli per i quali sono stati inizialmente pensati (come accade, ad esempio per la legge 398/1991), numerose sono le eccezioni “settoriali” a regole apparentemente generali (come quelle che si leggono nell’ articolo 148 del Tuir ), molti sono gli adempimenti poco utili richiesti (si pensi al modello Eas) che, a ben vedere, non contribuiscono ad accrescere l’efficacia dei controlli ma fanno, piuttosto, percepire la sensazione di una impropria burocratizzazione del rapporto.
In questo contesto va quindi salutata con favore l’impostazione che si trova espressa nella legge 106/2016 contenente la delega per la riforma del terzo settore. L’idea di «semplificare la normativa vigente, garantendone la coerenza giuridica, logica e sistematica» ( articolo 2, comma 1 lettera d ) accentrando, con una utile coordinamento tra le strutture preposte, la vigilanza, il monitoraggio ed il controllo sugli enti del terzo settore ( articolo 7 ) va nel senso giusto. Bisogna sperare che il delegato sappia cogliere questi chiari principi, declinandoli in disposizioni che:

■delineino davvero un vero e proprio “sistema” degli enti del terzo settore, individuato con chiarezza quanto alla sua precisa perimetrazione e che, dunque, si risolva in un “dentro o fuori” non affidato ad estenuanti e successive valutazioni casistiche;

■definiscano in chiave di corretta ricostruzione del presupposto impositivo e non meramente agevolativa le disposizioni applicabili (in particolare, per l’appunto, quelle tributarie);

■ indichino pochi e chiari adempimenti, sia preventivi che continuativi, di immediata individuazione e fruizione per una platea di soggetti ai quali non deve essere chiesta una elevata competenza giuridica e contabile ma che devono anche essere consapevoli di dover operare nel rispetto di alcune fondamentali regole di trasparenza;

■cerchino di favorire, in tal senso, un dialogo collaborativo e (possibilmente) anticipato con la Pubblica amministrazione, valorizzando il contraddittorio preventivo e, più in generale, la compliance.

Il tutto nella prospettiva di una complessiva e virtuosa riorganizzazione del mondo del no profit che possa determinare anche una “ricollocazione” delle attuali multiformi esperienze all’interno di un sistema nel quale vi siano (definiti) “contenitori soggettivi” per i quali chiare siano le regole in punto di individuazione, regolamentazione e (quindi) verifica della corretta applicazione della relativa disciplina. Rendere efficienti questi profili significherà dar davvero al terzo settore quella forza della quale la nostra società sente, specie nell’attuale momento storico, un crescente bisogno.

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