Imposte

Nuovo socio di controllo, il veto di riporto perdite penalizza il rilancio

L’agenzia delle Entrate ha ribadito la tesi che rischia di penalizzare anche l'Erario. Viene considerata modifica di attività anche se si opera nello stesso settore

di Edoardo Belli Contarini

L’agenzia delle Entrate torna sul divieto di riporto delle perdite, con il rischio di intralciare anche le operazioni genuine di rilancio industriale. Con la risposta all’interpello n. 214 del 22 aprile 2022, l’Agenzia ribadisce l’orientamento rigoroso sul riporto delle perdite (articolo 84, comma 3 del Tuir). In caso di subingresso di un nuovo socio che acquisisce il controllo della società che riporta le perdite, rappresenta una «modificazione dell’attività principale in fatto esercitata», non solo il passaggio da un settore merceologico a un altro, ma anche la permanenza nel medesimo comparto, con espansione e riattivazione della attività imprenditoriale a suo tempo esercitata, da cui sono conseguite le perdite, semprechè dette risorse siano apportate dal soggetto che ha acquisito il controllo (risposte agli interpelli n. 367 del 6 settembre 2019, n. 39 del 20 gennaio 2022).

L’Agenzia muove dalla ratio della norma antielusiva, preordinata ad impedire l’utilizzo non fisiologico del riporto delle perdite per il tramite del “commercio delle bare fiscale”; fenomeno che si verifica qualora, a seguito del trasferimento della maggioranza delle quote aventi diritto di voto nell’assemblea ordinaria del soggetto che riporta le perdite, la società “svuotata” e dotata soltanto degli “asset fiscali”, viene “rivitalizzata”, con apporto di attività redditizie, conferendo un profittevole ramo d’azienda, una sofisticata tecnologia o più semplicemente facendole acquisire vantaggiosi contratti. Obiettivo finale dell’operazione - contrastato dalla norma ad hoc - risulta unicamente quello di abbattere i redditi realizzati post subentro del nuovo azionista con i risultati negativi generatisi nello svolgimento della pregressa attività operativa (relazione illustrativa al Dlgs n. 358/1997, di introduzione della norma, e circolare ministero Finanze n. 320 del 19 dicembre 1997).

Se dal monitoraggio dei cinque anni ovvero del “periodo sospetto” si realizza la “modificazione dell’attività” – in particolare, nell’anno del trasferimento delle partecipazioni di controllo, nei due precedenti e nei due successivi – scatta il divieto di utilizzo delle perdite pregresse, che si estende alle eccedenze di interessi (in)deducibili oggetto di riporto in avanti ex articolo 96, comma 5 del tuir, nonchè alle eccedenze Ace ex articolo 1, comma 4 del Dl n. 201/2011. A meno che la società in perdita di cui si è acquisito il controllo superi il “test di vitalità economica”, sulla falsariga di quanto già previsto da altre norme antielusive specifiche per le operazioni straordinarie (come le fusioni e le scissioni ex articoli 172 e 173 Tuir) ovvero qualora sussistano le seguenti congiunte “esimenti”, la prima extra-contabile, l’altra contabile:

a) nel biennio antecedente il trasferimento delle partecipazioni, la società che riporta le perdite ha avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità;

b) dal conto economico relativo all’esercizio precedente il medesimo trasferimento delle quote risulta un ammontare di ricavi e proventi derivanti dall’attività caratteristica e un ammontare di spese e contributi per prestazioni di lavoro subordinato (articolo 2425 del Codice civile) superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.

In presenza dei due requisiti - trasferimento delle quote di controllo e modifica dell’attività - e in assenza delle due congiunte esimenti, l’unica via di fuga rimane l’interpello disapplicativo, obbligatorio (articolo 11, comma 2 della legge n. 212/2000).

Tuttavia la nozione di “modificazione dell’attività principale in fatto esercitata” viene delineata in modo rigoroso, tale da impedire il carry forward delle perdite anche nelle ipotesi genuine di “salvataggio” delle imprese in stato di crisi oppure in ciclo economico negativo, che necessitano di un “ripotenziamento”, di una “rivitalizzazione” all’esito dell’acquisizione della partecipazione di controllo, con iniezione di nuova finanza, apporto di altre risorse, acquisizione di ulteriori asset, riconducibili al nuovo socio che subentra nell’attività operativa. Un approccio, tenuto conto anche del periodo pandemico, che rischia di intralciare il rilancio di imprese in crisi, ma strategiche per il settore e/o per il territorio, e meritevoli di norme di vantaggio (come testimonia sia il favor legislativo del Codice della crisi di impresa, Dlgs. n. 14/2019, sia l’articolo 88, comma 4-ter del Tuir sulla detassazione delle sopravvenienze da esdebitazione).

Va aggiunto poi, che la modificazione dell’attività di impresa (che si assume “sospetta”) dovrebbe saggiarsi non solo in termini quantitativi di incremento di ricavi e di fatturato, dovendosi piuttosto verificare, caso per caso, la “continuazione” ovvero la “novità” dell’attività di impresa – che ha generato le perdite riportabili - in ragione anche di altri elementi, quali l’identità dello scopo sociale, le modalità e la struttura (ri)organizzativa e produttiva dell’impresa, le finalità del progetto industriale, la natura (strumentale o meno) dei cespiti apportati ed in concreto utilizzati.

Nei casi dubbi poi è d’ausilio la ratio della norma antielusiva specifica, volta a colpire le fattispecie patologiche ovvero a reprimere i fenomeni preordinati soltanto al «commercio intersoggettivo di bare fiscali extragruppo» (Cassazione 25 marzo 9777/2022, e 11466/2022) e quindi preordinata a scongiurare il risultato di trasferire e sfruttare le perdite, in assenza di altre finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o di rilancio dell’originario progetto.

La salvaguardia degli interessi erariali va garantita, soprattutto ove risulti che il nuovo azionista ha sostenuto il costo di acquisto della partecipazione per “lucrare” sulle predette posizioni fiscali soggettive; ma va considerata anche la finalità del riporto delle perdite, ispirato al principio di capacità contributiva e a quello di continuità dei valori che collega un periodo di imposta agli altri, che va “riportato” alla sua naturale funzione al di fuori dei casi patologici di cui agli articoli 84, 172 e 173 del Tuir.

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