I temi di NT+Modulo 24

Iva, il ritardo nel recepimento penalizza gli operatori

Il mancato adeguamento delle quick fixes può generare fenomeni distorsivi sull'imposizione che la nuova normativa intende eliminare

di Raffaele Rizzardi

Il nostro Paese fa sempre più spesso nei confronti dell'Unione europea la figura dello scolaro pigro e inefficiente, anche per i compiti più semplici.

Dal sito sulle infrazioni della Commissione scopriamo che nei confronti dell'Italia il 23 settembre scorso sono state aperte ben cinque procedure, di cui tre formalizzate come "parere motivato" ex articolo 258 del Trattato per il Funzionamento dell'Unione Europea (Tfue). Questa fase, con cui viene assegnato un termine per l'adeguamento normativo nazionale, prelude a un possibile giudizio, con cui lo Stato viene deferito alla Corte di Giustizia, che in questi casi conclude che non ha rispettato gli obblighi derivanti dal Trattato.

Una di queste procedure riguarda il mancato recepimento della direttiva Ue 2018/1910 del 4 dicembre 2018 (quasi tre anni fa), che aggiorna la vigente direttiva dell'imposta sul valore aggiunto (2006/112/CE) su tre argomenti che erano stati chiamati quick fixes, cioè soluzioni rapide per facilitare il passaggio al regime definitivo dell'Iva intraunionale sulle cessioni di beni.

I temi della direttiva sono tre:

1. il regime di call off stock. Da noi era già disciplinato in via amministrativa come consignment stock, se il fornitore spedisce al cliente una quantità programmata di beni, la cui proprietà si trasferisce di regola mensilmente, quando il cessionario comunica la quantità che ha prelevato dal magazzino;

2. la precettività dell'iscrizione al Vies per la non imponibilità delle cessioni intraunionali (la Corte di Giustizia l'aveva considerato un adempimento formale);

3. il regime delle chain transactions o "vendite a catena", quando la proprietà del bene viene trasferita tra più soggetti, anche in Stati diversi, ma con un solo trasporto, tra il primo e l'ultimo degli elementi della "catena". Qui il legislatore europeo segue l'insegnamento della Corte, secondo cui in queste operazioni ce n'è una sola intraunionale, le altre sono cessioni interne – eventualmente non imponibili – all'origine o alla destinazione.

Contemporaneamente a questa direttiva, l'Unione europea aveva adottato il regolamento Ue 2018/1912, sulla prova dell'uscita dei beni dallo Stato del fornitore. Questo atto non necessita di un recepimento nazionale, ma non aveva soddisfatto chi era interessato a una vera semplificazione, attribuendo valore di prova relativa al concorso di almeno due formalità, non sempre ricorrenti. Anzi mai quando il vettore è uno dei due contraenti o un soggetto formalmente indipendente, ma appartenente allo stesso gruppo.

Al momento dell'adozione di questi provvedimenti era stata fissata la data del 1° gennaio 2020 per il recepimento nazionale della direttiva, tenendo anche conto che in quel momento si pensava di arrivare al big bang del regime definitivo degli scambi B2B dal 1° luglio 2022. In altri termini le "soluzioni rapide" avrebbero coperto i due anni e mezzo di regime transitorio. Il ritardo del nostro Paese elimina due anni su due e mezzo.

Peraltro occorre fare una riflessione sul termine del 1° luglio 2022: lo slittamento sarà almeno di sei mesi, per effetto delle criticità conseguenti alla pandemia, come è avvenuto per le vendite a distanza B2C.

Ma forse non basterà questa mini proroga perché il sistema definitivo avrà bisogno di una robusta implementazione procedurale. Come per le vendite ai privati, tutte le fatture intraunionali saranno imponibili con l'Iva del Paese di destinazione, Iva che sarà versata allo sportello unico del Paese del fornitore. Quindi un'impresa italiana riceverà fatture con la rivalsa della nostra imposta, ovunque sia domiciliato il fornitore, così come le nostre imprese emetteranno fatture imponibili con la rivalsa dell'Iva del cliente.

Affinché questo meccanismo funzioni occorre un requisito procedurale inderogabile, cioè l'introduzione della fattura elettronica europea, obbligatoria per le vendite intraunionali, per avere la certezza dell'individuazione degli imponibili, dell'aliquota e dell'imposta, senza necessità di dover cercare queste informazioni su documenti cartacei (tali sono anche i Pdf) la cui grafica è spesso frutto di fantasia.

L'altra certezza della fatturazione elettronica, come lo si è ben visto nel nostro Paese, riguarda il concorso alla liquidazione a debito dell'imposta sulle fatture attive canalizzate. Se si volesse passare a questo delicato regime con le fatture cartacee, il rischio di evasione fiscale si sposterebbe dal cliente al fornitore.

Tornando al mancato recepimento nei termini della direttiva 2018/1910 abbiamo assistito a una pièce teatrale, termine che spazia dalla farsa alla tragedia.

Nel nostro ordinamento abbiamo attualmente due modalità di recepimento delle direttive: quello ordinario si attua con la legge di delegazione europea, specie quando – come nel nostro caso – la direttiva è essenzialmente tecnica e non consente opzioni agli Stati membri.

La nostra direttiva partecipa all'elenco di 38 atti europei, allegato alla legge 53 del 22 aprile 2021. Siamo già in ritardo rispetto al 1° gennaio 2020, ma i decreti legislativi in attuazione della delega richiedono un iter di pareri, che si concludono con quello parlamentare. In considerazione della tematica Covid 19 la legge non fissa nemmeno un termine preciso.

Per evitare questo rinvio pressoché all'infinito, il recepimento della direttiva viene fatto salire su un altro autobus (terminologia tipica di molti atti normativi da approvare senza indugio), quello della legge Europea 2019-2020. Questo disegno di legge è stato approvato dalla Camera il 1° aprile 2021, e ha concluso l'esame in Commissione al Senato il 23 settembre scorso. In questo momento confidiamo in una sollecita approvazione di questa norma, ma non abbiamo la certezza della data. Speriamo che si concluda nel termine concesso dal parere motivato della Commissione europea.

Concludiamo con una osservazione sulla natura self executing di questa direttiva, il cui recepimento porterà ad avere nel Dl 331/93 i nuovi articoli 38-bis e 41-bis, rispettivamente per gli acquisti e le cessioni in regime di call off e l'articolo 41-ter per le cessioni a catena.

Siamo in presenza di norme europee a effetto diretto nei confronti dei contribuenti, nella misura in cui determinano diritti e non obblighi (come quello di un apposito registro per il call off). Di fatto è opportuno che questa disciplina sia stata applicata sin dall'entrata in vigore europea, perché stiamo parlando di operazioni la cui controparte è in altro Stato che ha verosimilmente recepito la direttiva.

Nelle operazioni transnazionali non è nemmeno immaginabile che una parte applichi la disposizione e la controparte ne utilizzi un'altra.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.
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