Controlli e liti

Ancora un’inversione dell’onere della prova sui componenti negativi

Ennesimo equivoco, stavolta da parte della Cassazione, che trascura che anche i costi devono essere considerati nel calcolo del reddito

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Continuano le “deviazioni” giurisprudenziali su un tema che non dovrebbe ammetterle: quello dell’onere della prova. Anche recentemente la Cassazione (sentenza 12127/22) ha stabilito che nella determinazione del reddito d’impresa l’onere di provare la sussistenza delle componenti del reddito e dei requisiti di certezza e determinabilità delle stesse «incombe sull’Amministrazione finanziaria per quelle positive e sul contribuente per quelle negative». Tali conclusioni vengono fatte derivare dalla previsione (oramai ritenuta pacificamente applicabile nel diritto tributario) dell’articolo 2697 del Codice civile, in base al quale «chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento».

Questo significa che ordinariamente il Fisco, vantando un credito nei confronti del contribuente, è tenuto a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. In sostanza, affermando – con l’emanazione dell’atto di accertamento – l’esistenza dell’obbligazione tributaria, il Fisco assume la posizione di creditore nei confronti del contribuente, con la conseguenza che riveste in sede giudiziale il ruolo di attore in senso sostanziale sul quale grava l’onere di provare la fondatezza della propria pretesa. In pratica, la circostanza che il contribuente proponga ricorso contro l’atto dell’amministrazione è dovuto al fatto di evitare che lo stesso atto divenga definitivo. Nel processo tributario il contribuente formalmente agisce, ma in realtà resiste: promuovere l’azione non può tradursi nell’onere di dover provare i fatti costitutivi di una pretesa che non è la propria.

Peraltro, come sostenuto da illustre dottrina (Allorio), la presenza di talune presunzioni legali nell’ordinamento tributario – che, come eccezione, invertono l’ordinaria regola dell’incombenza dell’onere probatorio, addossandolo sul contribuente – non fa altro che confermare indirettamente il principio che l’onere di prova grava, come regola, sul Fisco.

Sicché, se è senz’altro condivisibile la tesi che l’onere della prova grava sulle Entrate per i componenti positivi di reddito, non collima con la regola dettata dall’articolo 2697 Codice civile l’affermazione che il medesimo onere compete al contribuente per i componenti negativi di reddito.

La Cassazione commette un errore concettuale di fondo: non viene considerato, infatti, che la determinazione del reddito d’impresa è un valore netto, dato dalla contrapposizione di componenti positivi e negativi. La Corte non considera, in sostanza, la concezione unitaria della determinazione del reddito d’impresa: quest’ultimo non è dato – chiaramente – soltanto dai componenti positivi, e la deduzione di un componente negativo di reddito non è una norma di favore, così da renderla assimilabile a un diritto (nell’ottica dell’articolo 2697 ) attribuito al contribuente. La deduzione di un costo è invece un passaggio necessario ai fini della rappresentazione unitaria del risultato imputabile alla specifica fonte produttiva (quella dell’attività d’impresa). Sicché la configurazione unitaria attribuibile all’attività d’impresa – data dalla rilevanza dei componenti positivi e di quelli negativi – impedisce di considerare la deduzione di un costo come una sorta di diritto slegato dalla fonte produttiva. Con la conclusione che l’onere probatorio ricade ordinariamente sul Fisco anche per i componenti negativi di reddito.

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