Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: stato di crisi, procura alla lite, residenza fittizia

di Ferruccio Bogetti e Filippo Cannizzaro


Lo stato di crisi può essere dimostrato anche dal fallimento successivo. Annullamento dell’atto Imu non motivato anche con ricorso irritualmente comunicato. Valida la procura alla lite ma solo se rispetta i criteri richiesti. La cessione di quote e poi della Srl non salva il socio dalla responsabilità solidale. Anche l’iscrizione alla sezione ordinaria rivela la residenza in Italia. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.


Lo stato di crisi può essere dimostrato anche dal fallimento successivo
È illegittimo l’accertamento induttivo per omessa presentazione della dichiarazione fiscale, notificato alla società immobiliare poi fallita, se lo stato di crisi era già preesistente alla sentenza dichiarativa di fallimento. Va pertanto rigettata la tesi erariale secondo cui la declaratoria di fallimento, avvenuta successivamente alla data d’omessa presentazione dell’Unico, non rappresenta una prova sufficiente a dimostrare la mancata produzione reddito, ricostruito sulla scorta dei dati dello spesometro, della mancata produzione documentale della contabilità richiesta al curatore fallimentare, della ritenuta non veridicità della perdita risultante dal bilancio d’esercizio.
Invece va confermata la tesi della contribuente per essere lo stato di crisi già preesistente per l’anno oggetto di contestazione. Infatti la società aveva una rilevante esposizione debitoria nei confronti dei propri fornitori nonché con degli istituti di credito che avevano già avviato azioni esecutive (quali pignoramento ed iscrizioni ipotecarie), circostanza questa che ha spinto la contribuente alla richiesta di ammissione al concordato preventivo, prima di essere poi dichiarata fallita. La mancata esibizione della contabilità non è imputabile al curatore fallimentare, perché tale documentazione non era in suo possesso. La perdita risultante dal bilancio, anche se non prova di per sé l’effettivo reddito, rappresenta comunque un dato verosimile dello stato di crisi dell’azienda, poi sfociata nel successivo fallimento.
Nel caso esaminato, una Srl immobiliare omette di presentare l’Unico relativo al periodo d’imposta 2014. La notevole esposizione debitoria nei confronti di propri fornitori e degli istituti di credito, la portano a presentare, ma senza successo, istanza di ammissione al concordato preventivo nel dicembre 2015. Nel 2016 il Tribunale competente dichiara il suo fallimento. Nel 2017 l’Amministrazione tramite accertamento induttivo determina in oltre 400mila euro il reddito non dichiarato del 2014.
Ctp Lecco, sentenza 21/01/2018


Annullamento dell’atto Imu non motivato anche con ricorso irritualmente comunicato
L’accertamento Imu deve essere motivato, e la motivazione non esiste, se: si limita a riportare la dicitura parziale versamento dell’imposta dovuta per l’anno oggetto di accertamento; considera gli immobili di proprietà del contribuente coltivatore come immobili generici anziché come immobili rurali. La motivazione deve sussistere già ab origine nell’accertamento e non può essere integrata nel corso del giudizio.
Il ricorso introduttivo contro tale accertamento è valido se è stato comunque ricevuto dall’Ente locale anche se non è stato ritualmente indirizzato, perché: è stato ricevuto dall’Ente locale anche se l’atto contiene l’intestazione di un Comune diverso, la cui intestazione è stata poi corretta a penna dall’agente postale, anche se nell’avviso di ricevimento della raccomandata l’indirizzo del Comune risulta essere corretto; la notifica è valida anche se il funzionario dell’Ente ha rifiutato di ritirare il piego raccomandato, come previsto dall’articolo 8 della legge 890 del 1982; la costituzione dell’Ente sana ogni eventuale vizio.
Nel caso esaminato, un Comune notifica nel giugno 2016 tre accertamenti Imu per gli anni 2012, 2013 e 2014. Il contribuente si oppone con ricorso introduttivo indirizzato all’ente, contestando l’inquadramento degli immobili come fabbricati generici anziché rurali a seguito della modifica di classamento in categoria A/6 (Immobili rurali a uso abitazione) e categoria D/10 (Immobili strumentali per l’attività agricola). Nel presentare il ricorso introduttivo, il contribuente indica un Comune diverso da quello che risulta essere effettivamente il destinatario, intestazione poi corretta a penna dall’agente postale, con l’indicazione però dell’indirizzo corretto del Comune nell’avviso di ricevimento. Il funzionario dell’Ente ha rifiutato di ritirare il piego raccomandato, come previsto dall’articolo 8 della legge 890 del 1982.
Ctp Treviso, sentenza 92/1/2018


Valida la procura alla lite ma solo se rispetta i criteri richiesti
La procura alla lite, rilasciata al difensore fiscale, deve rispettare i dettami del codice di rito, pena l’invalidità della stessa e, quindi, dell’inammissibilità dell’impugnazione. Nello specifico, deve essere rispettato il contenuto dell’articolo 12 del Codice di procedura tributaria, secondo cui la procura ad litem può essere rilasciata alternativamente:
a) a margine, o in calce, all’atto;
b) spillata all’atto depositato in giudizio;
c) rilasciata con atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Pertanto va dichiarato inammissibile il ricorso in appello proposto dall’ente locale, se dal fascicolo di primo grado risulta che la procura ad litem è rilasciata dal sindaco al professionista in un semplice foglio a parte. Né tanto meno la stessa può essere ritenuta valida anche se sottoscritta dal sindaco, dato che anche tale sottoscrizione per essere efficace necessita di autentica.
Nel caso esaminato, in una controversia relativa ad Ici 2009, l’ente locale soccombe in primo grado. Il Comune non demorde e promuove ricorso in appello, ma, dagli atti di causa, risulta che la procura non è rilasciata né a margine né in calce all’atto di gravame né allegata ad alcun atto processuale né tanto meno tramite scrittura autenticata, ma solamente in un semplice foglio a parte.
Ctr Sardegna, sentenza 65/4/2018


Non serve il completamento dell’iter urbanistico per considerare edificabile il terreno
Il terreno agricolo diventa edificabile, dal punto di vista fiscale, già al momento del suo inserimento nel Piano regolatore generale (Prg) da parte dell’ente che lo destini a tale utilizzo, indipendentemente dal completamento dell’iter urbanistico ed amministrativo. Pertanto è legittimo l’accertamento tramite cui l’Amministrazione accerta la plusvalenza in capo al contribuente a seguito della cessione del bene avvenuta dopo l’inserimento dello stesso nel Piano regolatore generale, anche se l’iter urbanistico non si è ancora completato. Questo perché, dal punto di vista urbanistico, l’area diviene edificabile dopo il completamento del seguente procedimento:
a) inserimento del terreno nel Prg predisposto dal Consiglio comunale, che appunto lo destina ad utilizzazione edificatoria;
b) deposito del piano presso la segreteria comunale entro termine normativamente stabilito, entro il quale eventuali interessati possano presentare osservazioni sulle quali il Consiglio si pronuncerà con delibera;
c) trasmissione del Prg alla Regione per la sua approvazione, che, una volta ottenuta, consente all’Ente di rilasciare idoneo certificato di destinazione urbanistica.
Dal punto di vista fiscale, il terreno è considerato edificabile già nel momento in cui è inserito nel prg, ossia quando lo stesso diviene suscettibile di utilizzazione edificatoria. Ciò lo si ricava dal comma 2 dell’articolo 36 del Dl 223/2006, ove è espressamente previsto che il terreno è da considerarsi edificabile al momento dell’adozione del Prg da parte dell’ente locale, indipendentemente dall’approvazione da parte della Regione.
Nel caso esaminato, l’ente locale inserisce nel 2004 un terreno agricolo di proprietà di un contribuente nel Prg al fine di cambiarne la sua destinazione d’uso in area edificabile, Prg poi trasmesso alla Regione per la sua approvazione. In seguito, nel 2008, l’uomo lo vende come terreno agricolo ad una società di costruzioni ad un corrispettivo di 250mila euro. La Regione nel 2010 approva il Prg, e, successivamente, nel 2013, l’Amministrazione accerta una plusvalenza e ricupera oltre 70mila euro a titolo di maggiore Irpef dovuta, compresi interessi e sanzioni.
Ctr Lazio, sentenza 543/13/2018


La cessione di quote e poi della Srl non salva il socio dalla responsabilità solidale
Il socio di Srl, che ha optato per la trasparenza fiscale e che abbia ceduto la propria quota della società, a sua volta ceduta nel medesimo anno, risponde in solido col cessionario d’azienda dei debiti accertati in capo alla stessa quale soggetto coobbligato, anche se non è stato destinatario di alcun accertamento per i redditi di trasparenza. Ciò perché sussiste una responsabilità solidale tra cedente e cessionario d’azienda ai sensi dell’articolo 14 del Decreto legislativo 472 del 1997 per il pagamento delle imposte e delle sanzioni relative all’anno in cui è avvenuta la cessione. Ed a seguito della cessione della quota, il socio rimane comunque coobbligato per i redditi accertati in capo alla società tassata con il principio della trasparenza.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione, sulla scorta di un Pvc redatto dai militari della Gdf, notifica alla cessionaria, tassata per trasparenza, un accertamento tramite cui ricupera maggiore Irap, Irpeg ed Iva per oltre 1milione di euro per l’anno 2003. Tale accertamento viene altresì notificato ai soci della azienda ceduta quali soggetti coobbligati.
Ctr Sicilia, sezione staccata Caltanissetta, sentenza 516/2/2018


Anche l’iscrizione alla sezione ordinaria rivela la residenza in Italia
È legittimo l’accertamento dell’Amministrazione notificato al dottore commercialista formalmente residente all’estero, ma di fatto, residente in Italia. In positivo, ciò perché il professionista: è intestatario e delegato di conti correnti accesi presso più banche in Italia; ha un’assidua presenza sul territorio nazionale (attestata da transiti autostradali e movimentazioni bancarie presso istituti di credito e Pos); è iscritto all’Ordine professionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (Odec) nell’albo ordinario anziché nell’elenco speciale, riservato a quanti svolgono un’attività saltuaria; ricopre diverse cariche di amministratore e/o consulente in più società con sede in Italia; è iscritto ad centro benessere sito nel territorio nazionale con abbonamento annuale; è titolare di un immobile utilizzato quale prima casa come risulta dalle utenze domestiche. In negativo, ciò perché il professionista: ha esibito soltanto il contratto di affitto dell’immobile e delle utenze domestiche; non ha fornito qualsiasi riferimento alle modalità di soggiorno e di vita oltre confine; non ha prodotto alcun reddito nella Confederazione elvetica né tantomeno ha dimostrato i versamenti del relativi tributi; non ha fornito alcuna giustificazione delle movimentazioni bancarie.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione, sulla scorta delle movimentazioni risultanti dai conti correnti, accerta un dottore commercialista iscritto all’albo ordinario dell’Ordine, svolgente l’attività di fiduciario, cioè di gestore di società che svolgono funzioni solo formali per accontentare i bisogni contingenti di persone fisiche che non vogliono apparire. Trattasi di componenti positivi di reddito per gli anni 2011 2012 e 2013 per oltre 100mila euro, basati su una serie di indizi confermanti la fittizi età della residenza in territorio elvetico, non sufficientemente contrastati.
Ctp Como, sentenza 8/05/2018

Doppio contributo unificato per l’appellante sconfitto in secondo grado
Anche nel rito tributario l’appellante soccombente, sia esso ricorrente in appello principale o ricorrente in appello incidentale, è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la medesima impugnazione. Questo perché, dal 2011, il rito tributario è stato, di fatto, equiparato al rito civile, e quindi si applicano le medesime regole. Infatti, nel rito civile, il ricorrente in appello, il cui gravame sia stato respinto, è tenuto al versamento di nuovo importo a titolo di contributo unificato, come disposto dall’articolo 13 del Testo unico sulle spese di giustizia (Tusg). Tale norma è applicabile al rito tributario, proprio perché dal 2011 anche in tale rito è dovuto il contributo unificato. E la medesima argomentazione la si trae dalla circostanza che al giudizio di legittimità si applica il raddoppio del contributo unificato, stante il richiamo stabilito dall’articolo 261 del Tusg, già preesistente all’intervento del legislatore del 2011.
Nel caso esaminato, una compagnia assicurativa si oppone ad un avviso di accertamento relativo al 2010, ma soccombe sia nel primo sia nel secondo grado di giudizio. Il giudice del gravame condanna l’appellante al pagamento del doppio del contributo unificato sulla scorta di quanto previsto per il rito civile applicabile anche a quello tributario.
Ctr Lombardia, sentenza 497/6/2018

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©