Controlli e liti

Bonus casa, cessionari senza buona fede

Si consolida l’indirizzo della Cassazione che penalizza gli acquirenti. I giudici aprono al sequestro finalizzato alla confisca dei crediti verso terzi

di Giuseppe Latour

Chi acquista crediti frutto di una frode in un’operazione di cessione è «difficilmente qualificabile - agli effetti del sequestro e della successiva confisca - come persona estranea al reato».

La terza sezione penale della Cassazione torna, con la sentenza n. 45558 depositata giovedì 1° dicembre, sulla vicenda dei sequestri presso terzi in buona fede di crediti fiscali legati a frodi. Dopo le decisioni con le quali, a fine ottobre, veniva enunciato il principio in base al quale per il sequestro impeditivo è sufficiente il collegamento tra il reato e la cosa, senza che abbia rilevanza la buona fede di chi ha comprato, ora i giudici aggiungono altri tasselli destinati a turbare ulteriormente il mercato di questi bonus.

In questo caso la Cassazione ha esaminato un’ordinanza del tribunale di Parma che aveva disposto il dissequestro di circa 7 milioni di euro di crediti. Il caso riguarda soggetti ai quali è contestato di avere creato crediti di imposta fittizi, utilizzando i bonus casa, per poi monetizzarli attraverso la cessione. Sotto esame, stavolta, c’è il sequestro finalizzato alla confisca di questi crediti presso i cessionari.

Nella prima parte della sentenza, i giudici confermano quanto già aveva detto la Cassazione in passato: il diritto a fruire del credito di imposta non nasce in modo autonomo rispetto alla detrazione. Detrazione e credito di imposta sono, invece, collegati. Quindi, gli eventi che travolgono la detrazione, come il sequestro, possono colpire anche il credito.

La seconda parte, invece, aggiunge molti elementi nuovi agli orientamenti che hanno preso forma in queste settimane, perché per la prima volta affronta in modo analitico il tema della buona fede. Un tema rilevante stavolta, perché ci troviamo in un caso di sequestro funzionale alla confisca «che, per poter operare nei confronti del terzo estraneo al reato, richiede che questi non abbia ricavato vantaggi e utilità dal reato e che non versi in una situazione di buona fede», dice la sentenza.

Va detto che la Cassazione rinvia la decisione ai giudici del rinvio. Il ragionamento che mette alla base del suo annullamento, però, piacerà poco a tutti quei soggetti che, in questi mesi, hanno comprato questi crediti, perché la sentenza pone diversi dubbi sia sul possibile conseguimento di utilità che sulla buona fede.

Chi compra questi crediti consegue, per come è strutturata la norma del decreto Rilancio, un vantaggio economico dall’acquisto, dal momento che il prezzo è solitamente inferiore (anzi, «notevolmente inferiore», fanno notare i giudici) al valore nominale del credito. In questo modo, si realizza un utile sui crediti acquistati. «Ed allora, proprio alla luce di tali considerazioni, è indubbio che la posizione del cessionario che lucra un vantaggio consistente dall’operazione di cessione» sia quella di un soggetto «difficilmente qualificabile come persona estranea al reato». Esiste, in sostanza, un collegamento strutturale tra la posizione del terzo acquirente e quella di chi ha commesso il reato.

Non solo. La Cassazione fa balenare anche la possibile rilevanza di «atteggiamenti antidoverosi di tipo colposo». Se, infatti, il decreto Rilancio non attribuiva originariamente compiti di controllo al cessionario, c’è un lungo elenco di prescrizioni antiriciclaggio che imponevano attenzione: le attività di vigilanza «erano comunque imposte al cessionario dalla normativa antiriciclaggio del Dlgs n. 231/2007, e soprattutto erano richieste dall’Uif», dicono i giudici. Quindi, sarebbe stato opportuno svolgere «attività di controllo preventivo e non già successivo alla monetizzazione dei crediti».

Sulla conferma del sequestro destinato alla confisca dovrà pronunciarsi il giudice del rinvio, ma «la restituzione del bene potrà avvenire solo laddove gli elementi di conoscenza disponibili portino alla qualificazione della sua posizione in termini di persona estranea al reato, ossia una condizione di effettiva distanza dalla condotta illecita». Una distanza sulla quale la Cassazione pone parecchi dubbi.

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