Controlli e liti

Casa familiare, Imu a carico del coniuge superstite con diritto di abitazione

Superata la presunzione di non utilizzo della dimora fondata sulle omissioni fiscali riscontrate dal Comune

di Simone Buffoni e Damiano Tomassini

Unico soggetto passivo Imu è il coniuge superstite che esercita il diritto di abitazione ex articolo 540 del Codice civile sull’ex casa familiare, come dimostrato dal certificato di residenza anagrafica, a nulla rilevando eventuali irregolarità fiscali da esso commesse. È l’interessante principio espresso dalla Ctr Campania (presidente e relatore Mario Verrusio) nella sentenza 7285/18/2021.

La vicenda, da cui trae origine la pronuncia, prende le mosse dall’emissione di un avviso di accertamento per l’annualità d’imposta 2015.

Con l’atto impositivo il Comune recuperava l’Imu dovuta da un erede, segnatamente il figlio del defunto, in quanto proprietario pro quota dell’immobile. Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento davanti all’autorità giurisdizionale in ragione della propria carenza di soggettività passiva. In particolare, il ricorrente rilevava che il coniuge superstite (la madre), quale titolare del diritto di abitazione sulla ex casa coniugale, in forza dell’articolo 540 del Codice civile, aveva la soggettività passiva in via esclusiva ai fini Imu.

Resisteva l’Ufficio, sostenendo il non esercizio del diritto di abitazione da parte del coniuge superstite, a motivo della condotta fiscale da esso tenuta. In particolare, il Comune rilevava che il coniuge superstite:

• non aveva presentato alcuna dichiarazione Imu-Tasi in relazione al diritto di abitazione,

• non aveva effettuato alcun versamento a titolo Imu-Tasi a supporto dell’esercizio di tale diritto

• e, ai fini Irpef, continuava a dichiarare il cespite esclusivamente per la propria quota di proprietà.

La Commissione rigettava il ricorso. All’esito del giudizio di primo grado, il contribuente aveva proposto appello, cui il Comune si era opposto ribadendo la propria tesi. La Ctr ha accolto l’appello. Il Collegio partenopeo ha preliminarmente rilevato che il Comune aveva fondato il non esercizio del diritto di abitazione su elementi presuntivi, quali le omesse dichiarazioni fiscali e i carenti pagamenti tributari. Tal che era onere del ricorrente dimostrare l’effettivo esercizio del diritto reale di godimento. Ciò chiarito, la Ctr ha ritenuto che l’autodichiarazione del coniuge superstite, circa l’effettivo esercizio del diritto di abitazione ex articolo 540 del Codice civile, cedeva rispetto agli elementi indiziari opposti dal Comune.

Viceversa, il collegio di secondo grado ha rinvenuto nel certificato di residenza l’idonea prova contraria circa l’effettivo esercizio del diritto di abitazione, poiché dimostrava la residenza continuativa del coniuge superstite nella casa un tempo adibita a residenza familiare. In altre parole, la residenza certificata superava e vinceva la presunzione di non utilizzo dell’abitazione fondata sulle omissioni di carattere fiscale riscontrate dal Comune. Su queste basi, il collegio ha accolto l’appello e, in riforma della sentenza appellata, annullato l’avviso di accertamento, compensando interamente le spese di lite del doppio grado di giudizio.

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