Finanza

Fondi di private equity esteri, tassazione variabile in base al territorio e alla presenza di intermediari

Il crescente ricorso da parte di privati a fondi di investimento esteri non sempre è accompagnato da un’adeguata analisi fiscale

di Marco Piazza e Stefano Vignoli

Sono sempre più frequenti gli investimenti in fondi di private equity esteri effettuati da parte di privati che non sempre valutano appieno le conseguenze e gli adempimenti fiscali e dichiarativi connessi.

La tassazione

La tassazione dei proventi degli organismi di investimento collettivo del risparmio di diritto estero (diversi da quelli immobiliari) – che sono considerati in ogni caso redditi di capitale - è disciplinata dall’articolo 10-ter della legge 77 del 1983. I proventi dei fondi istituiti nella Ue o nello Spazio economico europeo sono in ogni caso soggetti alla ritenuta d’imposta del 26% di cui ai commi 1 e 5 se sono conformi alla direttiva 2009/65/Ue (cosiddetti “armonizzati”). Se si tratta di fondi non armonizzati, la ritenuta d’imposta si applica a condizione che il gestore sia soggetto a vigilanza nello Stato estero in cui è stabilito (circolare 19/E del 2013, pagina 21), ai sensi della direttiva 2011/61/Ue (la direttiva che disciplina i gestori di fondi di investimento alternativi).

Quando l’investimento viene realizzato senza un intermediario a cui il contribuente dia l’incarico di amministrare le quote dei fondi esteri (ad esempio banche o fiduciarie italiane) e, quindi, in assenza di un sostituto di imposta tenuto ad operare la ritenuta, i redditi di fonte estera (articolo 18 del Tuir) sono assoggettati a imposta sostitutiva, nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di percezione, a cura del percipiente stesso.

Inoltre, quando il fondo non è istituito in Europa o nella See o non è armonizzato e il gestore non è sottoposto a vigilanza, i proventi del fondo sono assoggettati alla tassazione progressiva Irpef (articolo 10 ter, comma 6, legge 77/1983). Su questo aspetto si segnala l’apertura dell’agenzia delle Entrate che con risposta ad interpello 236 del 15 luglio 2019, ha confermato l’applicabilità della ritenuta d’imposta del 26% anche per i fondi non armonizzati i cui gestori siano comunque legittimati ad operare in base alla direttiva 2011/61/Ue. Fra questi possono ritenersi compresi i fondi cosiddetti “sottosoglia” soggetti ad obbligo di registrazione e all’obbligo di fornire determinate informazioni alle autorità., ma non soggetti ad autorizzazione. In presenza di versamenti effettuati dal fondo ai sottoscrittori nel 2021, in sede di predisposizione del modello Redditi 2022, sarà importante verificare a quale titolo il contribuente ha incassato le somme.

L’azione dei fondi di private equity

In genere, i fondi di private equity procedono in un primo momento alla raccolta di adesioni tra gli investitori che si impegnano a versare il capitale, cosa che avviene periodicamente e progressivamente, attraverso le “capital call” una volta che il fondo ha individuato gli investimenti da effettuare. Al momento del disinvestimento il fondo può distribuire parte della liquidità acquisita agli investitori e, in questo caso, occorrerà accertare se l’erogazione sia stata fatta a titolo di rimborso del capitale oppure di distribuzione del reddito perché, in genere, nel primo caso la somma ricevuta anziché concorrere a formare il reddito di capitale imponibile riduce il costo d’acquisto o sottoscrizione della quota. Come ricordato dalla risposta a interpello 161 del 30 marzo 2022, le ritenute di cui all’articolo 10-ter si applicano sui proventi distribuiti in costanza di partecipazione all’organismo di investimento e su quelli compresi nella differenza tra il valore di riscatto, di liquidazione o di cessione delle quote o azioni e il costo medio ponderato di sottoscrizione o acquisto delle quote o azioni medesime. In base a tale disposizione, i «proventi distribuiti in costanza di partecipazione» dall’Oicr costituiscono redditi di capitale da assoggettare a ritenuta per l’intero valore.

Redditi di capitale

Con riferimento alla determinazione dei redditi di capitale compresi nelle somme o valori percepiti in sede di rimborso, liquidazione o cessione delle quote o azioni, per stabilire se la distribuzione abbia ad oggetto capitale o reddito, si può far riferimento alle indicazioni che sono fornite dall’Oicr sulla base delle previsioni regolamentari (circolare 33/E del 2011, confermata dalla risposta 161/2022).

Nel caso in cui l’ammontare rimborsato fosse inferiore alla quota sottoscritta, si realizzerebbe una minusvalenza ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter e comma 1-quater del Testo unico (circolare 19/E del 2014, pagina 17). La minusvalenza concorre a formare i redditi diversi di natura finanziaria soggetti all’imposta sostitutiva di cui all’articolo 5 del D lgs 461 del 1997 anche nel caso dei fondi comuni di cui al comma 6, articolo 10-ter, i cui redditi di capitale concorrono a formare il reddito complessivo. Questa regola vale certamente nei casi in cui la quota sia oggetto di sottoscrizione e rimborso, senza interazioni con il mercato.

Nel caso in cui, invece, la quota sia acquistata o ceduta sul mercato la circolare 19/E/2014, pagina 16 ha precisato che per l’investitore il reddito di capitale è determinato effettuando la differenza tra il valore “effettivo” di riscatto, liquidazione o cessione delle quote e azioni, e il costo medio ponderato delle quote o azioni; costo che, in caso di acquisto sul mercato, deve essere documentato dal partecipante. La circolare, conclude, pertanto che, mentre per gli Oicr non quotati, il valore “effettivo” e il costo medio ponderato coincidono di norma con quelli risultanti dai prospetti periodici, salvo il caso di acquisto o cessione delle quote o azioni sul mercato secondario mediante negoziazione privata, per quelli quotati rileva il valore di rimborso, liquidazione o cessione e il costo medio ponderato di sottoscrizione o acquisto determinati secondo i valori di mercato. In questi casi può quindi accadere che mentre dai rendiconti del fondo comune risulta rimborsato capitale, l’investitore abbia realizzato un provento tassabile come reddito di capitale. Ciò accade quando l’investitore abbia acquistato la quota ad un prezzo inferiore alla corrispondente frazione di capitale (risposta 161/E/ 2022).

La dichiarazione dei redditi

Trattandosi di investimento estero, nel modello Redditi occorrerà quindi compilare il quadro RW (codice bene “4”) indicando l’importo del capitale versato, eventualmente al netto dei rimborsi parziali ceduti, da assoggettare a Ivafe. I proventi dei fondi (dividendi o plusvalenze da rimborso) vanno invece indicati, se riferiti a fondi armonizzati o il cui gestore è soggetto a vigilanza, al rigo RM12 con tipologia di reddito “B” e l’avvertenza che, mentre i proventi sono redditi di capitale, le minusvalenze (anche per mancato rimborso alla cessazione del fondo), vanno indicate nel quadro RT in quanto redditi diversi.

Nel caso di fondi non armonizzati e non oggetto di vigilanza, i proventi devono essere assoggettati a Irpef e quindi indicati al rigo RL2 (codice “4”), mentre le minusvalenze non risultano deducibili.

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