Controlli e liti

Reati tributari, dalla gestione del rischio fiscale uno scudo per la «231»

Necessario monitorare le attività in cui si può verificare l’illecito e stabilire delle procedura interne di controllo che prevedono la sottoscrizione delle dichiarazioni e la completezza dei dati

di Marco Pauletti

La sentenza 16302/2022 della Cassazione (si veda il precedente articolo «Reati 231 e dichiarazione fraudolenta, sanzionata anche la società») si è pronunciata sull’applicabilità dei reati tributari nei confronti delle società in base al Dlgs 231/2001, addebitando il reato presupposto di cui all’articolo 25-quinquesdecies ai soggetti apicali della società incolpata di aver beneficiato di un’evasione Iva che ammontava a circa 10 milioni e mezzo di euro, riferiti a due annualità.

Con questa prima storica pronuncia, dunque, i giudici ponevano il principio per cui la società avrebbe risposto per il reato di evasione fiscale in quanto persona giuridica. Traendo spunto da tale pronuncia, può tornare utile fare il punto sull’evoluzione del quadro normativo riferito ai reati tributari quali presupposto del decreto 231.

Il diritto penale tributario trova fondamento nel Dlgs 74/2000, nel tempo più volte revisionato: senza andare troppo indietro negli anni, basti pensare che nel 2015, vennero inasprite le sanzioni, venne razionalizzata la disciplina della confisca e venne inserita la causa di non punibilità legata al mancato pagamento del debito tributario.

Un secondo fondamentale intervento, coincideva con il Dl 124/2019, il quale inserì la confisca per sproporzione e, all’interno del catalogo dei reati presupposto, l’articolo 25-quinquesdecies. Un intervento di questo tipo era da tempo auspicato da parte dell’Unione europea, la quale, a seguito della direttiva Pif del 2017, per contrastare le figure delittuose pregiudizievoli per gli interessi finanziari dell’unione, aveva imposto a tutti gli Stati membro di procedere in tal senso.

Nello specifico, dunque, l’articolo 25-quinquesdecies, veniva formulato secondo il classico schema normativo del reati presupposto, cioè attraverso la tecnica del rinvio. La norma, infatti, richiama i reati contenuti all’interno del Dlgs 74/2000, in particolare:

• il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2 comma 1 e 2-bis);

• la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3);

• l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 8 comma 1 e 2-bis);

• l’occultamento o distruzione di documenti contabili (articolo 10);

• la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (articolo 11).

Inoltre, la più recente modifica legislativa del 2020, ha inserito delle nuove figure al reato presupposto, ossia:

• la dichiarazione infedele (articolo 4);

• l’omessa dichiarazione (articolo 5);

• l’indebita compensazione (articolo 10-quater).

La sanzione prevista era fondamentalmente quella pecuniaria, ricompresa fra le 400 e le 500 quote ed era stata, infine, prevista la possibilità di irrogare anche una sanzione interdittiva (articolo 9 del Dlgs 231/2001) nonché la previsione di una circostanza aggravante di un terzo della pena in caso di profitto di rilevante entità.

Il legislatore ha voluto appositamente inserite nel «sistema 231» i soli reati tributari connotati da un effettivo elemento di ingannevolezza o decettività: per questo sono stati selezionati reati come la dichiarazione fraudolenta, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’occultamento o distruzione di documenti contabili, ecc. Tuttavia, delle criticità emergevano con riferimento alla diversità di trattamento fra persona fisica ed ente, nel rispetto del principio del ne bis in idem.

Per quanto riguardava la coerenza delle diverse scelte di incriminazione, occorreva sottolineare la differenza fra la persona fisica e l’ente: se nel primo caso la sanzione penale aveva carattere premiale e riscossivo, nel secondo caso, essendo la natura di tale tipo di responsabilità autonoma (articolo 8 del Dlgs 231/2001), sussisteva la punibilità anche in caso di estinzione del reato. Questo potrebbe creare a non pochi problemi, nonché alla violazione del principio posto a livello europeo del divieto di punibilità di un medesimo soggetto per un medesimo fatto (si pensi al caso di un soggetto in posizione apicale di una società a cui venga addebitato non solo il reato in quanto persona fisica, ma anche l’illecito derivante da reato in quanto soggetto destinatario della normativa 231).

Un cenno conclusivo va fatto con riferimento all’adozione ed efficace attuazione del modello organizzativo da predisporre, al fine evitare il verificarsi di reati tributari richiamati all’articolo 25-quinquesdecies. È opportuno adottare una serie di previsioni o accorgimenti tali da considerare il rischio fiscale interno, seguendo lo schema del Tax control framework, che consiste nella rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio di operare in violazione di norme tributarie. Da qui, l’esigenza di individuare per prima cosa le attività a rischio, in cui appaia possibile il verificarsi del reato e, successivamente, stabilire delle procedura interne di controllo che prevedano la sottoscrizione delle dichiarazioni fiscali, la completezza dei dati e delle informazioni contenute, nonché un ulteriore controllo sulla completezza e correttezza dei dati e delle informazioni comunicate dalla diverse risorse, mediante apposita firma sulla documentazione analizzata. Tutto questo, va eseguito nell’ottica della prevenzione della commissione dei reati tributari previsti dall’articolo 25-quinquesdecies.

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