Controlli e liti

Contanti senza riscontro ai fornitori? Legittimo presumere ricavi in nero

Se le fatture non trovano riscontro nei dati bancari si deve concludere che la provvista provenga da ricavi non contabilizzati

immagine non disponibile

di Davide Settembre

È legittimo l’operato dell’ufficio che accerta i ricavi “in nero” nel caso in cui un imprenditore paghi i fornitori in contanti senza provare che tali somme siano state prelevate dal proprio conto corrente, su cui vengono incassati i ricavi contabilizzati. È quanto hanno stabilito, in sintesi, i giudici della Ctp di Torino con la sentenza 708/2/2021, depositata il 7 settembre scorso (presidente Bianconi, relatore Gurgone).

Nell’ambito di alcuni controlli ai sensi del Dl 78/2010, convertito nella legge 122/2010 (spesometro), l’ufficio aveva chiesto al contribuente di esibire tutta la documentazione contabile relativa al 2015. In particolare, dall’analisi della documentazione era emerso che i ricavi contabilizzati venivano versati sul conto corrente del contribuente (un imprenditore) che provvedeva invece a pagare i fornitori in contanti. Tuttavia, dal conto corrente risultavano prelievi di importo decisamente inferiore alle somme utilizzate per pagare i fornitori. Da ciò, l’ufficio aveva presunto che tali provviste erano state pagate (almeno in parte) con ricavi non contabilizzati e aveva pertanto notificato al contribuente un atto di accertamento per recuperare a tassazione tali somme. L’imprenditore aveva tuttavia impugnato l’avviso dinanzi i giudici di primo grado.

I giudici piemontesi hanno respinto il ricorso. In particolare, hanno evidenziato nella sentenza che, dall’analisi della documentazione (fatture, estratti conto bancari eccetera), era emerso che gli incassi contabilizzati erano versati sul conto corrente dell’imprenditore che pagava molto spesso in contanti i fornitori. Tuttavia, dal conto corrente non risultavano prelievi pari al saldo delle fatture in contanti. Pertanto, doveva dedursi che le stesse erano state pagate con somme che non erano transitate dal conto corrente e che quindi erano “in nero”.

Secondo i giudici l’ufficio, nell’ambito dell’accertamento analitico-induttivo, aveva operato sulla scorta di dati oggettivi forniti dallo stesso contribuente che non aveva provato come aveva saldato il debito esposto nelle fatture contabilizzate. I giudici hanno richiamato una sentenza della Cassazione in base alla quale il fatto che un’azienda adempia le proprie obbligazioni in contanti costituisce indice di reddito sul quale basare una rettifica presuntiva (sentenza 19902/2008). In particolare, hanno ricordato i giudici, per la Cassazione è legittima la presunzione relativa alla sussistenza di una contabilità parallela non denunciata, qualora le uscite di cassa non abbiano trovato riscontro nelle scritture contabili: ove le fatture non trovino riscontro nei dati bancari, si deve concludere che la provvista utilizzata provenga da ricavi non contabilizzati, in assenza di prova contraria da parte del contribuente.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©