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Fatturazione in eccesso, sanzioni e detrazione Iva in cerca di equilibrio

L'orientamento della Cassazione sui casi di errata fatturazione si rivela più restrittivo e non in linea con l'orientamento della Corte di giustizia europea

di Alessandra Caputo

Gli errori di fatturazione sono frequenti nella pratica. Quando la norma non risulta essere chiara, il comportamento spesso tenuto è quello ritenuto più “prudente” e consiste nell'applicazione dell'Iva con un'aliquota superiore a quella effettiva o nell'applicazione dell'imposta laddove non avrebbe dovuto essere applicata. Il comportamento da tenere non dovrebbe essere quello “prudente” ma quello “corretto”, tuttavia, a volte ciò non accade e si commette un errore (in buona fede).

La norma sanzionatoria di riferimento nel caso di errori di fatturazione è l’articolo 6 del Dlgs 471/1997 che, rispetto alla sua versione originaria, ha subito alcune variazioni.

La norma, infatti, inizialmente prevedeva che chi computava illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, era punito con la sanzione amministrativa uguale all’ammontare della detrazione compiuta.

La norma è stata modificata (con decorrenza 1° gennaio 2016) dal Dlgs 158/2015 il quale, per la medesima fattispecie, ha previsto l’applicazione di una sanzione pari al 90% della detrazione compiuta.

Da ultimo, la norma è stata modificata dalla legge 205/2017 la quale, pur confermando l’applicazione della sanzione in misura proporzionale, ha anche previsto l’applicazione di una sanzione amministrativa compresa fra 250 e 10.000 euro nei casi di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore e fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione.

Come chiarito dall’articolo 6, comma 3-bis, del Dl 34/2019 le disposizioni trovano applicazione anche ai casi verificatisi prima dell’entrata in vigore della legge. Di fatto, viene riconosciuto il principio del favor rei.

L’interpretazione della norma è stata, in un primo momento, molto ampia: l’utilizzo dell’espressione "applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva" ha portato a ritenere che la sanzione fissa potesse essere applicata sia nei casi in cui l’imposta è applicata con un’aliquota superiore a quella effettiva, sia nei casi in cui l’imposta sia applicata, ma non avrebbe dovuto esserlo, in quanto l’operazione è esente, non imponibile o non soggetta. L’orientamento di prassi e giurisprudenza non è stato però univoco.

Le interpretazioni restrittive

Nell’iniziale silenzio dell’agenzia delle Entrate e in assenza di indicazioni chiare da parte della relazione illustrativa alla legge di Bilancio che ha introdotto la disposizione, la sentenza 24289/2020 ha fornito una prima interpretazione che, come di seguito si dirà, è stata recepita dall’amministrazione finanziaria. La Corte ha escluso la possibilità di applicare la norma in commento a tutte quelle ipotesi in cui l’applicazione dell’Iva in misura superiore sia frutto di una errata qualificazione dell’operazione. Si legge, infatti, nella sentenza quanto segue: «In tema di Iva, l’imposta erroneamente corrisposta in relazione ad un’operazione non imponibile non può essere portata in detrazione dal cessionario, nemmeno a seguito della modifica apportata dall’articolo 1, comma 935, della legge 205/2017 all’articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997. Invero, indipendentemente dalla sua efficacia retroattiva prevista dall’articolo 6, comma 3 bis, del Dl 34/2019, la menzionata disposizione si applica unicamente alla diversa ipotesi in cui, a seguito di un’operazione imponibile, l’Iva sia stata erroneamente corrisposta sulla base di un’aliquota maggiore rispetto a quella effettivamente dovuta».

Successivamente, anche l’agenzia delle Entrate ha fornito la propria interpretazione con la risoluzione 51/2021 sostenendo, alla luce dell’orientamento espresso dalla Cassazione con la predetta sentenza 24289/2020, che si distinguono due tipologie di condotte illecite, in relazione a ciascuna delle quali sono previste due diverse sanzioni: una sanzione fissa (compresa fra 250 e 10.000 euro) per il cessionario/committente in caso di applicazione dell’Iva in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, fermo restando il diritto del medesimo cessionario/committente alla detrazione; una sanzione pari al 90% dell’ammontare della detrazione illegittimamente compiuta dal cessionario/committente negli altri casi in cui l’imposta è stata assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa.

Qualora il cessionario/committente abbia pagato l’imposta al cedente/prestatore e, di conseguenza, abbia detratto l’imposta stessa addebitatagli per errore in fattura, pur trattandosi di operazioni esenti o non imponibili, deve essere, dunque, irrogata la sanzione proporzionale di cui alla lettera b), previo recupero dell’Iva indebitamente detratta.

Più di recente, la Corte di Cassazione è tornata sul tema con altre pronunce con una interpretazione ancor più restrittiva (per esempio, l’ordinanza 32900/2022): se il cedente o prestatore applica, per errore, un’aliquota Iva maggiore rispetto a quella dovuta, il cessionario ha diritto alla detrazione dell’imposta solo nella misura che sarebbe stata corretta. Il diritto alla detrazione viene, cioè, riconosciuto nei limiti del dovuto e non per l’intero ammontare versato.

Le interpretazioni a favore

A fronte di una linea molto dura e restrittiva della Corte di Cassazione, si segnala qualche diversa interpretazione.

Il primo chiarimento su questa norma in ordine temporale è stato, infatti, fornito dalla Guardia di Finanza la quale, con la circolare 114153/2018 ha affermato che la sanzione fissa da euro 250 a 10.000 e il mantenimento della detrazione esercitata riguardano sia le ipotesi in cui l’Iva sia applicata con aliquota superiore a quella effettiva, sia nei casi in cui le operazioni siano assoggettate a Iva ma avrebbero dovuto essere esenti o non imponibili o non soggette. Tale orientamento, tuttavia, è stato presto modificato e allineato a quanto previsto dalla Cassazione.

Anche Assonime con la circolare 12/2018 aveva condiviso la necessità di estendere l’applicazione della norma anche ai casi di operazioni che avrebbero dovuto essere esenti, non imponibili o escluse; una diversa interpretazione, si legge nel documento di prassi, non sembra rispondere alla ratio e alla logica della norma.

A favore di una più ampia interpretazione la sentenza della Ctr della Lombardia 2270/2021 (oggi Ctr di secondo grado) la quale, richiamando la sentenza della Corte di Giustizia C-935/19, ha annullato la ripresa relativa alla detrazione e alle sanzioni calcolate in misura proporzionale in riferimento a un’operazione esente erroneamente assoggettata a Iva, disponendo l’assoggettamento della fattispecie alla sola sanzione in misura fissa.

Proprio la sentenza della Corte di giustizia dovrebbe guidare l’interpretazione della norma interna. Con la sentenza prima citata, la Corte ha ritenuto incompatibile con il diritto Ue "una normativa nazionale che pone a carico di un soggetto passivo, che abbia erroneamente qualificato un’operazione esente dall’imposta sul valore aggiunto (Iva) come operazione soggetta a tale imposta, una sanzione pari al 20% dell’importo della sopravvalutazione dell’importo del rimborso dell’Iva indebitamente reclamato, nei limiti in cui tale sanzione si applica indifferentemente a una situazione in cui l’irregolarità risulta da un errore di valutazione commesso dalle parti dell’operazione quanto alla natura imponibile di quest’ultima, che è caratterizzata dall’assenza di indizi di frode e di perdite di gettito fiscale per l’Erario, e a una situazione in cui non sussistano circostanze particolari di tal genere".

Va, infatti, ricordato che i principi cardine del meccanismo di funzionamento sono il principio di neutralità che mira a sgravare interamente il soggetto passivo dall’onere dell’Iva nell’ambito delle sue attività economiche nonché quello della proporzionalità, in virtù del quale, sebbene gli Stati membri possano adottare provvedimenti per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le frodi, i provvedimenti possono essere utilizzati in modo da mettere in discussione la neutralità dell’Iva.

I principi di neutralità e proporzionalità

Da quanto esposto appare evidente come l’interpretazione restrittiva dell’articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997, consistente nel disconoscimento del diritto alla detrazione e nell’irrogazione di una sanzione proporzionale nei casi in cui l’errata applicazione dell’Iva dipende da una errata qualificazione dell’operazione stessa, è palesemente lesiva dei principi di neutralità e proporzionalità che regolamentano il meccanismo di funzionamento dell’imposta, oltre a non essere conforme alla posizione espressa dalla Corte di giustizia.

Si auspica un cambio di orientamento della giurisprudenza nazionale sul tema che sia rispettoso dei principi cardine del meccanismo dell’imposta sul valore aggiunto.

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