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Gas serra, le difformità Usa-Ue nella rendicontazione con effetti sulla concorrenza

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di Paolo Bruno

Dall’anno finanziario 2024, l’Ue chiederà alle grandi aziende di includere nella rendicontazione annuale delle emissioni di gas serra (Esg), oltre alle emissioni dirette derivanti da attività di proprietà o di cui si ha il controllo (Scope 1) e alle emissioni indirette prodotte dall’energia acquistata e utilizzata dall’azienda (Scope 2), anche tutte le altre emissioni indirette generate lungo la catena di valore dell’azienda, non controllate in modo diretto, ma comunque dovute alla sua attività, con inclusione dei processi upstream e downstream (Scope 3). Si stima che le emissioni Scope 3 rappresentino circa l’80% del totale delle emissioni dell’entità di riferimento, pertanto si intuisce l’importanza e il peso della novità introdotta dalla Ue.

Negli Usa, invece, contrariamente a quanto in precedenza annunciato dalla Sec, potrebbe non essere più richiesto alle grandi aziende una rendicontazione così impegnativa come quella appena introdotta nella Ue. Sembra che a fine novembre 2023 (fonte Reuters) alcuni funzionari della Sec abbiano aperto alla possibilità di ridurre la portata del reporting Esg, escludendo le emissioni Scope 3. La scelta – caldeggiata da esponenti del partito repubblicano e voluta da numerose grandi aziende – è motivata dalla difficoltà e dai costi che comporta la misurazione dei dati riferiti all’intera catena di fornitura dell’azienda e al consumo dei prodotti da parte dei suoi clienti, oltre che dal fatto che si tratta di dati la cui comunicazione potrebbe generare contenziosi. La Sec potrebbe forse anche optare per una soluzione di compromesso, imponendo gli obblighi di reporting Scope 3 solo alle aziende che già comunicano tali dati in altre giurisdizioni. A complicare il quadro, con possibile creazione di un doppio standard all’interno degli Usa, la notizia che nel mese di ottobre la California ha adottato la legge SB253 che obbliga le aziende operanti nello Stato a riportare anche le emissioni Scope 3 a partire dall’anno 2027.

Se questa divergenza nella rendicontazione delle emissioni a livello internazionale dovesse confermarsi, potrebbe realizzarsi una disparità di trattamento a danno delle aziende europee, tenute non solo a una misurazione più impegnativa e costosa, ma anche maggiormente esposte al rischio di dover adottare provvedimenti per ridurre il proprio impatto ambientale.

A livello macroeconomico e di scelte d’investimento, la comunicazione di dati di ambiti diversi renderebbe più difficile la misurazione degli obiettivi di riduzione delle emissioni comunicati al mercato finanziario e agli stakeholders. I fondi di investimento che perseguono politiche di investimento basate su criteri di sostenibilità si troverebbero ad analizzare dati disomogenei nella valutazione delle aziende ove allocare capitali e le banche centrali avrebbero difficoltà a effettuare gli stress test climatici.

Il differente ambito di rendicontazione negli Usa e nella Ue potrebbe infine generare un impatto negativo sugli obiettivi di contenimento della temperatura globale entro 1,5 gradi da livelli preindustriali e di azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050, impegni assunti a livello mondiale con la firma dell’Accordo di Parigi (COP21).

Proprio gli obiettivi fissati nell’Accordo di Parigi sono alla base della politica sul clima del partito democratico, e dunque dell’agenda Biden. L’ipotizzato dietrofront della Sec sull’obbligo di reporting delle emissioni di ambito Scope 3 rappresenterebbe un risultato utile ai repubblicani, in stridente contrasto con gli obiettivi dei democratici.

Nella Ue l’obbligo di reporting delle emissioni, incluso l’ambito Scope 3, è vincolante e la nuova Corporate sustainability reporting directive (direttiva 2022/2464, Csrd), entrata in vigore a gennaio 2023, dovrà essere recepita dagli ordinamenti degli Stati membri entro giugno 2024. La Csrd sostituisce la precedente Non financial reporting directive del 2014 e, anche se in modo progressivo, amplia il numero delle aziende coinvolte nella redazione dell’informativa, da circa 11.700 a oltre 49mila aziende in Europa, di cui circa 4mila in Italia. Le aziende obbligate alla rendicontazione già per l’anno 2024 sono quelle finora sottoposte all’obbligo della dichiarazione non finanziaria ora venuta meno perché sostituita dalla rendicontazione di sostenibilità, ossia le aziende quotate e del settore bancario-assicurativo di grandi dimensioni. L’obbligo si estenderà per l’anno 2026 anche alle piccole e medie imprese quotate (escluse le micro-imprese) e alle imprese e istituti di credito di piccole dimensioni. Infine, per l’anno 2028 saranno tenute alla rendicontazione anche le imprese e succursali con capogruppo extra-Ue che svolgano attività per un volume rilevante in Ue.

Il 31 luglio 2023 la Commissione Europea, sentito il parere tecnico del European financial reporting advisory group (Efrag), ha adottato un primo set di standard di rendicontazione di sostenibilità, specificando quali informazioni devono essere fornite, con la finalità di uniformare la comunicazione dei dati e facilitare la relativa comparabilità con livelli benchmark. Le regole europee si rifanno agli standard stabiliti a livello globale dal Greenhouse gas protocol (Ghg), istituzione frutto di partnership tra il World resource institute e il World business council for sustainable development, che individua una metodologia efficiente per identificare le fonti di emissione di gas serra e calcolare le quantità prodotte da un’azienda.

Si attende si sciolga il nodo negli Stati Uniti. Vi sarà indicazione uniforme per l’ambito Scope 3 a livello federale o la decisione sarà rimessa agli Stati?