Professione

De Nuccio: «Ripartire dall’Università e retribuire i tirocinanti»

Le strategie del presidente del Cndcec per attrarre di nuovo i giovani verso la professione di commercialista: «Centrale il nostro ruolo di consulenti delle imprese»

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di Valeria Uva

Elbano de Nuccio, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, perché la professione non attira più?

Perché viene vista dai giovani come un’attività travolta dagli adempimenti, che assorbe gran parte del tempo, compreso quello libero. Non è un problema economico: anche una eventuale maggiore redditività rispetto al lavoro dipendente non compensa la perdita in termini di qualità della vita. Per un neolaureato altri sbocchi, ad esempio la finanza, sono molto più attrattivi.

Come ribaltare questa prospettiva?

Dobbiamo ripartire dalle Università. Con la Cassa dottori commercialisti stiamo organizzando un roadshow nelle aule universitarie. Spiegheremo che il nostro lavoro non è più solo fatto di adempimenti fiscali: siamo i consulenti strategici per la crescita delle imprese, abbiamo nuovi mercati da esplorare quali la riconversione delle aziende in chiave Esg. Dobbiamo lavorare sul riconoscimento del ruolo sociale del commercialista.

Per gli avvocati stanno arrivando i primi titoli specialistici. Servono anche ai commercialisti?

Oggi la specializzazione non è più un fattore di successo, ma di sopravvivenza. La nostra professione è fatta già di tante specializzazioni, bisogna renderle più riconoscibili dai clienti. In autunno riprenderemo il dialogo con il Governo per ottenere titoli specialistici giuridicamente riconosciuti. L’obiettivo è far sì che le nostre scuole di alta formazione svolgano corsi specialistici con diplomi equipollenti a quelli dei master universitari.

Il percorso di accesso alla professione va ridotto?

L’ipotesi di una laurea abilitante ha senso solo con una riforma radicale del corso di studi, che fornisce ancora una preparazione solo teorica. Il tirocinio è indispensabile per avere la preparazione tecnica necessaria. Casomai il problema è un altro.

Quale?

Dopo l’equo compenso, la battaglia ora è far sì che anche ai praticanti sia riconosciuto il diritto a un’equa retribuzione. Valuteremo la possibilità di introdurre garanzie di legge per retribuire i praticanti. Ma abbiamo bisogno di un sostegno: non si possono scaricare tutti i costi sul dominus. Penso, ad esempio, a un credito di imposta per le spese per i praticanti. Trovare le risorse è indispensabile: abbiamo avuto il bonus rubinetti e quello per gli occhiali. Ora è il momento di aiutare i giovani. Anche per trattenerli in Italia.

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