Imposte

A rischio la detrazione Iva per errori diversi da quelli sull’aliquota

La Cassazione boccia lo sgravio se l’operazione è non imponibile o esente, ma l’interpretazione appare troppo restrittiva

ADOBESTOCK

di Pasquale Murgo

Risulta molto penalizzante per le imprese e incoerente con il dettato normativo la recente posizione espressa dalla Corte di cassazione (sentenza 24289/2020), accolta dalla guardia di Finanza (a modifica della propria precedente circolare 114153 del 13 aprile 2018), secondo cui il cessionario/committente non può portare in detrazione l’imposta erroneamente applicata e assolta dal cedente/prestatore nei casi diversi da quelli in cui, per una operazione imponibile, sia stata applicata un’aliquota maggiore rispetto a quella dovuta.

Nell’articolo 6, sesto comma, del Dlgs 471/1997 si prevede che:

chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al 90% dell’ammontare della detrazione compiuta;

se però il cedente o prestatore per errore, e al di fuori di un contesto di frode, applica e assolve l’imposta in misura superiore a quella effettiva, il cessionario committente potrà portare in detrazione la maggiore imposta, sempre se inerente e oggettivamente detraibile, e sarà punito con una sanzione amministrativa ridotta compresa fra 250 euro e 10.000 euro.

Tale possibilità è stata introdotta dalla legge di stabilità del 2018 (legge 205/2017) e risulta applicabile anche per i casi verificatisi prima del 1° gennaio 2018 (in tal senso articolo 6, comma 3-bis del Dl 34/2019).

La Corte di cassazione con la sentenza 24289 del 3 novembre scorso ha interpretato la norma in modo restrittivo (nello stesso senso anche Ctr Trentino Alto-Adige 20/1/2019 e Ctr Lombardia 3483/21/19), affermando che la possibilità per il cessionario di portare in detrazione l’Iva nei casi di errori di fatturazione da parte del cedente risulterebbe limitata ai soli casi in cui, in relazione a un’operazione imponibile, sia stata corrisposta l’Iva in base a un’aliquota superiore a quella effettivamente dovuta.

Secondo tale impostazione, in pratica:

se il cessionario riceve dal cedente una fattura con l’Iva al 22% in relazione a un’operazione che andava fatturata al 10%, il cessionario può portare in detrazione l’imposta e pagare una sanzione in misura fissa compresa fra 250 euro e 10mila euro;

diversamente se il cessionario riceve dal cedente una fattura con l’Iva al 22%, ma in relazione a un’operazione che andava fatturata come non imponibile (caso trattato nella sentenza della Cassazione) o esente o esclusa, non può portare in detrazione la maggiore imposta addebitata e sarà sanzionato con la sanzione proporzionale del 90 per cento.

In realtà, nell’articolo 6, comma 6, si prevede che gli errori che danno diritto alla detrazione sono solo quelli in cui l’imposta è applicata in misura superiore a quella effettiva senza ulteriori precisazioni. Se da un lato è indubbio che nel caso di un’operazione imponibile l’applicazione di un’aliquota più elevata di quella dovuta permetterebbe al cessionario di rientrare nel caso esaminato, alla stessa conclusione si dovrebbe pervenire anche nei casi in cui per un’operazione non imponibile, esente o esclusa il cedente abbia applicato un’imposta al 22 per cento. Anche in tal caso, infatti, a fronte di un’imposta effettiva pari a zero (nei casi di operazione esente, non imponibile e esclusa) il cedente avrebbe applicato un’imposta maggiore (aliquota al 4,5 o 22%). D’altra parte se il problema fosse la compatibilità comunitaria della disposizione - alla luce della posizione della Corte di giustizia Ue, infatti, il cessionario non potrebbe portare in detrazione un’imposta non dovuta (tema evidenziato in parte anche dalla Suprema corte) - evidentemente la questione si porrebbe anche nel caso degli errori sull’aliquota.

In questo scenario, quindi, l’interpretazione restrittiva dell’articolo 6, comma 6 del Dlgs 471/1997 determina delle forti incertezze nel sistema e rende auspicabile un nuovo intervento del legislatore (dopo quello finalizzato a chiarirne la valenza retroattiva, articolo 6 del Dl 34/2019) sull’ambito applicativo della disposizione. Anche perché la stessa guardia di Finanza, dopo aver sostenuto (circolare 114153/2018) che l’articolo 6, comma 6 risulta applicabile anche nei casi di operazioni non imponibili o esenti erroneamente assoggettate a Iva da parte del cedente, con una nota dello scorso 20 novembre ha parzialmente modificato tale posizione, condividendo l’impostazione restrittiva della Suprema corte.

Il tutto, ovviamente, a svantaggio dei contribuenti che potrebbero subire degli accertamenti avendo fatto affidamento su di una disposizione “semplificatoria” introdotta nel 2018, ma già rimessa in discussione dopo meno di due anni.

IN SINTESI
1. La rettifica
Il cedente che in relazione a un’operazione non imponibile emette per errore una fattura con aliquota Iva al 22% può rettificare la fattura originaria emettendo una nota di variazione ai sensi dell’articolo 26 del Dpr 633/1972?
La risposta è affermativa. Nel termine di un anno il cedente può rettificare le inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione dell’articolo 21, 7° comma del Dpr 633/1972 secondo cui l’Iva è dovuta per l’intero ammontare indicato in fattura.
2. Le sanzioni
Il committente che in relazione a una prestazione di servizi da assoggettare al reverse charge ha ricevuto e detratto, senza alcun intento di frode, una fattura con aliquota Iva al 22% a quali sanzioni può essere assoggettato?
Ai sensi dell’articolo 6, comma 9-bis1 del Dlgs 471/1997 il cessionario potrà portare in detrazione l’imposta ma sarà assoggettato alla sanzione compresa fra 250 e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione sarà solidamente tenuto anche il prestatore.

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