Accise, sui «cali» si paga l’Iva
I cali ed eccedenze rilevati ai fini delle accise devono essere considerati anche ai fini dell’Iva, con applicazione dell’imposta e delle relative sanzioni, per presunzione di cessione, sull’intero quantitativo fisicamente mancante o superiore a quello contabile.
Con queste conclusioni, formalizzate nella nota 314796.2017, la Guardia di Finanza riforma parzialmente la propria prassi. Per i prodotti ad accisa assolta – con particolare interesse per i depositi commerciali e per gli impianti di distribuzione – la questione si presenta dunque particolarmente complessa e delicata.
In realtà, l’intervento della Gdf è ben più ampio in materia e mira essenzialmente ad allineare la prassi di verifica del Corpo con la recente prassi di indirizzo dell’Agenzia delle Dogane che, dopo un lungo periodo di attesa, sugli effetti dei cali e delle eccedenze, anche ai fini Iva, è intervenuta con la circolare 6/D del 2015 e con la nota 53616 del 2017.
Questi due ultimi provvedimenti hanno comunque affrontato la questione dapprima in linea generale e, poi, con riferimento particolare al tema dei trasporti alla rinfusa per carichi e destinatari predeterminati, in base all’articolo 18 del Dm 210/96.
Sul punto, la posizione dell’amministrazione, in linea di principio, è molto chiara: i cali e le eccedenze che rientrano nei limiti delle tolleranze ammesse dal regime delle accise non danno luogo ad alcun addebito non solo ai fini delle imposte di consumo, ma neppure ai fini dell’Iva; viceversa, ove detti cali ed eccedenze non rientrino nelle tolleranze ammesse, le imposte sono dovute, parametrando il relativo importo, secondo il Fisco, sull’intero quantitativo mancante o eccedente, senza considerare la franchigia di legge.
La questione genera da sempre non poche perplessità e dubbi applicativi. Il primo, infatti, sta del parametro di calcolo dell’Iva, che in accertamento, e su questo potrebbero porsi temi da approfondire, non considera la soglia del calo e dell’eccedenza, invece riconosciuta nelle ipotesi ordinarie, con o senza attivazione del’Ufficio di controllo.
In secondo luogo, resta la questione, tutta di diritto, delle fonti normative per procedere al calcolo delle franchigie per i cali e, soprattutto, delle eccedenze, derivanti in larga parte da norme sanzionatorie (in particolare art. 48 e 50 Testo Unico Accise - Tua) che in molti casi sono ancora foriere di dubbi applicativi e prassi locali variabili.
Questa questione, anche se la nota della Gdf offre interessanti chiarimenti interpretativi, offre lo spunto per ribadire anche in questa sede la necessità, ambiziosa, di una riforma della disciplina del Tua, con particolare riferimento al tema sanzioni.
In ultimo, va rilevata l’ulteriore problematica del rapporto tra Iva e accisa, due tributi indiretti, simili ma in realtà molto diversi, che anche sul tema in argomento vengono appaiati dall’Amministrazione, ma che non sono sempre così automaticamente connessi. Il riferimento è, solo come esempio, ai temi della rivalsa, dei presupposti applicativi delle imposte o della determinazione della relativa base imponibile.