Ace, il taglio al rendimento tutela i «vecchi» incrementi
La conversione del Dl 50/2017 detta in via definitiva i criteri di calcolo dell’agevolazione Ace per il periodo d’imposta 2017 e successivi. La versione finale del decreto legge prevede l’eliminazione della misura restrittiva che aveva introdotto il criterio incrementale mobile che – originariamente stabilito dal decreto – avrebbe determinato la rilevanza nella definizione della base Ace dei soli incrementi e decrementi patrimoniali intervenuti negli ultimi cinque esercizi.
La marcia indietro
Si ritorna, quindi, al “classico” criterio incrementale su base fissa che individua come rilevanti ai fini Ace le variazioni del capitale proprio intervenute dopo la chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010. In sostanza, le movimentazioni da considerare sono quelle rilevate dal 2011 in avanti.
Il testo definitivo prevede, tuttavia, una riduzione della misura del rendimento nozionale non prevista dall’originaria versione del decreto. Per determinare la deduzione Ace, infatti, il coefficiente di remunerazione – da applicare agli incrementi di capitale proprio rilevanti – viene ridotto all’ 1,6% per il periodo 2017 e all’ 1,5% per i periodi successivi; per i medesimi periodi d’imposta, invece, a Legge di Bilancio 2017 prevedeva rendimenti maggiori pari, rispettivamente, al 2,3% e 2,7%.
La modifica intervenuta in sede di conversione penalizza taluni contribuenti e ne agevola altri. I soggetti che possono risultare maggiormente penalizzati sono quelli di più recente costituzione. Questi – potendo evidentemente fare affidamento su una minore stratificazione della base Ace – risentiranno di una maggiore riduzione del beneficio per effetto dell’abbassamento dell’aliquota di rendimento. Il testo definitivo potrebbe essere, invece, meno sfavorevole per i contribuenti che evidenziano significativi incrementi di capitale proprio rilevante ai fini Ace negli anni più remoti. Per questi ultimi, infatti, la modifica consente di continuare a computare nella base Ace tali incrementi che l’applicazione del criterio incrementale su base mobile avrebbe reso, invece, gradualmente irrilevanti.
Resta fermo il coefficiente previsto per il 2016, pari a 4,75%, così come la previsione che le modifiche all’agevolazione Ace si applichino ai soggetti Ires già in sede di determinazione degli acconti 2017. Risulta, quindi, necessario per le sole società che abbiano fruito dell’agevolazione Ace nella determinazione della base imponibile del periodo 2016 ricalcolare il debito d’imposta di tale esercizio deducendo un beneficio Ace parametrato a un rendimento nozionale del 1,6 per cento.
Gli acconti
I contribuenti che hanno eventualmente già versato il primo acconto Ires – adeguandosi alle originarie disposizioni del decreto – dovranno, al fine di applicare correttamente il metodo storico, riliquidare il tributo entro il termine del 30 giugno qualora dalla riparametrazione dell’incentivo Ace alle regole di calcolo dettate dalla disposizione definitiva emerga un maggior debito d’imposta per il periodo 2016.
È pur vero che la riduzione dell’aliquota Ires al 24% per il periodo d’imposta 2017 potrebbe indurre gli operatori economici – nella prospettiva di un debito d’imposta dell’anno in corso inferiore al debito Ires 2016 – ad abbandonare il metodo storico in favore del metodo previsionale, evitando in tal modo il ricalcolo della base Ace in sede di versamento degli acconti; metodo previsionale, che tuttavia, soprattutto in sede di primo acconto risulta sempre rischioso. Una tesi diversa è quella che attribuisce rilevanza all’articolo 3, comma 2, dello Statuto del contribuente e che, quindi, rinvia il ricalcolo dell’acconto con il metodo storico all’1,6% di Ace alla rata di novembre mentre nessun effetto si avrebbe sulla rata di giugno.
Il Dl non esplica, invece, effetti sul calcolo degli acconti 2017 dei soggetti Irpef, imprese individuali o soci di società di persone. Per questi ultimi è confermato che la riduzione di aliquota avrà impatto sul saldo 2017 da versare a giugno 2018. Tali contribuenti non sono, quindi, tenuti in sede di acconto ad alcuna riparametrazione del debito d’imposta 2016 ai nuovi criteri di calcolo dell’agevolazione. Per i soggetti Irpef la reintroduzione del criterio su base fissa comporta, inoltre, che il cosiddetto “zoccolo duro”, ovvero la componente di base Ace che si è prodotta nel lasso temporale 31 dicembre 2015 – 31 dicembre 2010, e calcolata in termini differenziali tra i patrimoni esistenti alle due date, assurga a componente strutturale del beneficio anche per i futuri esercizi. Diversamente, l’adozione del criterio incrementale su base mobile avrebbe consentito di riassorbire gradualmente tale componente per condurre ad un perfetto allineamento tra soggetti Ires ed Irpef a partire dal 2020. Allo stato attuale gli unici soggetti Irpef che sconteranno un criterio di calcolo dell’agevolazione realmente equivalente a quello dettato per i contribuenti Ires saranno quelli neocostituiti.
Che cosa manca
Il quadro normativo concernente l’Ace, e una sua corretta applicazione, non è tuttavia ancora completo. Deve, infatti, essere emanato un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, al fine di regolare gli effetti Ace delle modifiche apportate al Codice civile dal Dlgs 139/2015 e dalla conseguente revisione dei principi contabili nazionali. In particolare, occorre fornire certezza sul trattamento delle poste di patrimonio netto emerse nel bilancio al 31 dicembre 2016 e della movimentazione delle stesse. È necessario che tale provvedimento venga emanato al più presto; in caso contrario, alle imprese non resterebbe che adottare comportamenti prudenziali.