Addizionale Ires per gli enti creditizi a rischio incostituzionalità
L’addizionale dell’Ires per gli enti creditizi e finanziari potrebbe non risultare conforme ai precetti costituzionali. A dubitare delle compatibilità della disposizione è la Commissione tributaria regionale del Piemonte che, con l’ordinanza n. 354 del 5 luglio scorso, ha ritenuto di sospendere il giudizio rimettendo la questione alla Corte costituzionale.
Con il decreto legge 133/2013, il legislatore ha introdotto, per i soggetti operanti nel settore finanziario e assicurativo, una maggiorazione all’aliquota Ires. In pratica, all’imposizione ordinaria del 27,5% bisognava aggiungere un ulteriore 8,5% portando la tassazione complessiva al 36%.
Per quanto riguarda la decorrenza della norma e, in deroga allo statuto del contribuente, l’addizionale risultava applicabile ai redditi conseguiti nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 e solamente per tale periodo d’imposta. La maggiorazione, tuttavia, non era dovuta sulle variazioni in aumento derivanti dall’applicazione dell’articolo 106, comma 3, del Tuir.
Dal punto di vista soggettivo, i contribuenti interessati dalla norma sono, oltre agli istituti di credito, anche le società di gestione comune dei fondi di investimento mobiliare, le capogruppo di gruppi bancari, le società di intermediazione mobiliare (Sim), i soggetti esercenti attività di intermediazione finanziaria; sono destinatari dell’addizionale, inoltre, anche la Banca d’Italia e le imprese assicurative.
Illustrato il quadro normativo una società, dopo aver liquidato l’imposta relativa all’anno 2013 presentava, dopo il pagamento della maggiorazione Ires rispetto all’aliquota ordinaria, una richiesta di rimborso il cui silenzio-rifiuto veniva impugnato in Commissione. Al rigetto del ricorso seguiva l’appello con cui venivano riproposte tutte le questioni di illegittimità costituzionale sollevate con il ricorso introduttivo.
La tesi del ricorrente è stata accolta dai giudici i quali hanno ravvisato la non corrispondenza al dettato costituzionale sulla base del fatto che il maggior prelievo fiscale colpisce soltanto alcune categorie di contribuenti. Le giustificazioni per il rinvio alla Consulta nascono dal fatto che la norma risulterebbe discriminatoria poiché colpirebbe unicamente alcuni soggetti rispetto e non applicabile alla generalità dei contribuenti.
Inoltre, l’incongruenza dell’imposizione non è dovuta solamente perché è ingiustificabile che gli enti finanziari possano avere una capacità contributiva superiore agli altri soggetti passivi, ma anche perché si è utilizzata la decretazione d’urgenza senza che ve ne fossero i presupposti dato che il regime fiscale è stato introdotto per reperire le risorse necessarie per abolire I’Imu.
Il giudice ritiene, quindi, che la norma l’articolo 2, comma 2 del decreto legge 133/13 non sia conforme al dettato costituzionale sia sotto l’aspetto della disparità di trattamento tra contribuenti, sia sotto il profilo della capacità contributiva ed infine, perché la necessità di reperire in un breve lasso di tempo le risorse per togliere I’Imu non può essere un motivo straordinario che legittima l’adozione di un decreto legge.