Imposte

Affitti, strada in salita per revocare la cedolare e aggiornare il canone all’inflazione

La fiammata dell’indice Istat (+6,4% annuo a marzo) può giustificare un cambio solo in casi-limite. Ma anche in quelle situazioni la prassi delle Entrate è penalizzante per i locatori

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di Cristiano Dell'Oste

La fiammata dell’inflazione non è ancora così forte da compromettere la convenienza della cedolare secca sugli affitti, ma in alcuni casi-limite è già il momento di rifare i conti. E di chiedersi se e come è possibile aggiornare il canone.

Il blocco degli aggiornamenti

Per i locatori che scelgono la tassa piatta «è sospesa, per un periodo corrispondente alla durata dell’opzione, la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone, anche se è prevista nel contratto a qualsiasi titolo». E, nel blocco, è compresa anche «la variazione accertata dall’Istat dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente» (articolo 3, comma 11, del Dlgs 23/2011).

Finché l’inflazione era su livelli da prefisso telefonico, il problema dell’eventuale aggiornamento del canone non si poneva neppure. A marzo, però, l’indice Foi (Famiglie operai e impiegati) rilevato dall’Istat ha fatto segnare +6,4% rispetto all’anno precedente. È un livello al quale è lecito porsi una domanda a lungo trascurata: conviene lasciare il canone invariato e restare in cedolare secca oppure aggiornare il canone e passare alla tassazione ordinaria?

La risposta coinvolge considerazioni di opportunità, di convenienza e di fattibilità.

Opportunità e convenienza di adeguare il canone

L’opportunità, naturalmente, è quella di andare ad aumentare il canone in un periodo ancora di difficoltà economica, dopo che a molti inquilini sono state concesse rinegoziazioni al ribasso.

La convenienza si basa invece sul confronto puro e semplice di ciò che rimarrebbe in tasca al locatore con i diversi regimi fiscali.

Diciamo subito che nel caso della cedolare secca sugli affitti a canone concordato (aliquota al 10%) non c’è partita. La tassa piatta continua a essere conveniente, perché è troppo ampio il divario con l’aliquota del primo scaglione Irpef (23%), anche considerando il fatto che l’Irpef si applica su un imponibile pari al 66,5% del canone (ridotto del 5% e poi di un altro 30%).

Per i contratti a canone libero, con la cedolare al 21%, al momento la differenza si gioca sul filo dei decimali per chi si trova a pagare l’Irpef del primo scaglione (aliquota al 23% su un imponibile pari al 95% del canone). Molto dipende dal peso delle addizionali locali (comunale e regionale) e dalla quota di imposta di registro a carico del locatore (1%).

Se si ipotizza un canone da 500 euro mensili, l’inflazione degli ultimi 12 mesi vale un aggiornamento di 32 euro. Queste le cifre in gioco:

● la cedolare secca del 21% sul canone “base” di 500 euro lascia al locatore un netto di 395 euro;

● la tassazione ordinaria sulla stessa cifra gli costa circa 20 euro in più, ipotizzando addizionali locali nell’ordine del 3% complessivo;

● la tassazione ordinaria sul canone “aggiornato” di 532 euro gli lascia all’incirca lo stesso importo di 395 euro.

Tutto dipende dalle addizionali locali all’Irpef, come si diceva, ma è evidente che con un’inflazione più elevata comincerebbe a esserci una prima leggera convenienza per la tassazione ordinaria, almeno nel primo scaglione (fino a 15mila euro di reddito).

Il problema dell’aggiornamento

Il terzo aspetto da analizzare – e il più delicato – è quello della fattibilità.

L’opzione per la cedolare può essere revocata «in ciascuna annualità contrattuale successiva a quella in cui è stata esercitata l’opzione entro il termine previsto per il pagamento dell’imposta di registro relativa all'annualità di riferimento» (circolare 26/E/2011). La revoca va comunicata con una lettera in carta libera all’inquilino e fa scattare il pagamento dell’imposta di registro a partire dall’annualità contrattuale fuori cedolare (in solido con l’inquilino).

Resta da capire quando si possa aggiornare il canone e in base a quali parametri.

La norma di legge, come detto, afferma che l’aggiornamento è «sospeso» per la durata dell’opzione.

Le Entrate, invece, sembrano suggerire che l’aggiornamento sia annullato definitivamente durante il periodo di opzione, e che inizi a decorrere solo dall’anno in cui si è fuori dalla cedolare. Si legge infatti nella circolare 26/E citata: «Nel caso in cui l’opzione esercitata in sede di registrazione del contratto e, quindi all’inizio della prima annualità, sia revocata a valere dalla seconda annualità, resta comunque valida la rinuncia del locatore agli aggiornamenti del canone per un periodo corrispondente a quello della prima annualità per il quale il locatore si è avvalso di tale regime. Pertanto, il locatore non può richiedere gli aggiornamenti del canone relativi alla seconda annualità». Questo vorrebbe dire che, se un locatore esce dalla cedolare per l’annualità contrattuale che inizia – poniamo – il 1° maggio 2022, potrà aggiornare il canone solo per l’annualità che inizia il 1° maggio 2023, facendo riferimento all’inflazione maturata nei 12 mesi precedenti.

In dottrina, invece, è diffusa l’opinione che – in un caso come quello appena descritto – si potrebbe aggiornare il canone già dal 1° maggio 2022, facendo riferimento all’inflazione maturata in tutto l’arco temporale in cui il canone è rimasto fermo in virtù della cedolare. Così, se il contratto fosse stato stipulato il 1° maggio 2019, il locatore dal 1° maggio 2022 potrebbe aggiornare l’importo in virtù dell’inflazione che si è stratificata nei 36 mesi precedenti. Sarebbe questo il senso dell’espressione «facoltà sospesa» contenuta nella legge. Ma tant’è. La circolare 26/E pone un serio limite all’aggiornamento del canone, non solo perché impedirebbe di recuperare l’inflazione stratificatasi nel tempo, ma anche perché chi esce oggi si troverebbe a scommettere sull’andamento futuro della dinamica dei prezzi.

A livello operativo, la revoca non è complicata per chi ha comunicato l’opzione per la cedolare all’inquilino con raccomandata «con la quale rinuncia ad esercitare la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone a qualsiasi titolo» (ancora il comma 11 dell’articolo 3 citato).

Qualche cautela in più per i locatori che si avvalsi della chance concessa dalle Entrate con la circolare 26/E, che permette di evitare la raccomandata se si indica espressamente nel contratto la rinuncia agli aggiornamenti del canone. Chi ha inserito una rinuncia secca agli aggiornamenti, chiaramente non potrà adeguare il canone neppure se revoca l’opzione per la cedolare, a meno che non modifichi consensualmente il contratto. Chi, invece, ha inserito una clausola con cui rinuncia all’aggiornamento del canone per il periodo di applicazione della tassa piatta potrà adeguare l’importo dovuto dall’inquilino.

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