Controlli e liti

Al Fisco l’onere della prova per negare costi d’impresa, crediti d’imposta e bonus

L’obbligo riguarda anche contestazioni di componenti negative di reddito. La disposizione è generale e include le violazioni legate alle varie agevolazioni

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Non c’è dubbio: anche dai vari interventi di dottrina fin qui pubblicati emerge che la disposizione sull’onere della prova è di fatto la norma più significativa dell’agognata (per molti) riforma del processo tributario. Eppure si tratta di una disposizione inserita “di soppiatto”, all’ultimo momento, senza alcun documento accompagnatorio.

L’incipit del novellato comma 5-bis, articolo 7, del Dlgs 546/1992 è davvero inequivoco: «L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato». La prima riflessione indotta dalla lettura di questo comma è che la norma si risolve, inequivocabilmente, nell’introduzione nel processo tributario di una regola autoctona per dirimere le questioni in ordine al riparto dell’onere della prova, superando così la portata dell’articolo 2697 del Codice civile e con esso l’impropria trasposizione nel comparto tributario di dinamiche essenzialmente privatistiche.

In base alla nuova regola, dunque, è il Fisco che – in linea generale – deve provare le contestazioni afferenti a tutte le tipologie di violazioni, a prescindere che si controverta di costi nel regime d’impresa oppure di fattispecie agevolative (bonus, crediti d’imposta, eccetera).

Reddito d’impresa

Sui costi d’impresa (o riferiti all’attività professionale) la questione è nota. La Cassazione, quasi costantemente – e così, di conseguenza, l’agenzia delle Entrate – ha fin qui sostenuto che nella determinazione del reddito d’impresa l’onere di provare la sussistenza delle componenti del reddito e dei requisiti di certezza e determinabilità delle stesse «incombe sull’amministrazione finanziaria per quelle positive e sul contribuente per quelle negative».

Tali conclusioni sono state fatte derivare dalla previsione dell’articolo 2697 del Codice civile, assimilando la deduzione di un costo come fatto costitutivo del diritto alla sua deduzione. Oppure – con notevole salto interpretativo – come fatto impeditivo, modificativo o estintivo, sempre nell’ottica dell’articolo 2697 del Codice.

Peraltro, l’applicazione della regola civilistica porta(va) a disconoscere il fatto (evidente) che la determinazione del reddito d’impresa è un valore netto, dato dalla contrapposizione di componenti positivi e negativi. La Cassazione non ha considerato, in sostanza, che il reddito d’impresa non è composto chiaramente solo dai componenti positivi, e che la deduzione di un componente negativo di reddito non è una norma di favore, così da renderla assimilabile a un diritto (nell’ottica sempre dell’articolo 2697 del Codice) attribuito al contribuente.

La deduzione di un costo rappresenta invece un passaggio necessario ai fini della rappresentazione unitaria del risultato imputabile alla specifica fonte produttiva (quella dell’attività d’impresa). Sicché il chiaro distacco dalla normativa civilistica che si è avuto con la nuova disposizione sull’onere della prova introdotta dalla legge 130/2022 consente senz’ombra di dubbio di superare questi equivoci (anche per i procedimenti già in corso, si veda Il Sole 24 Ore del 12 settembre scorso), per cui anche per i componenti negativi di reddito l’onere probatorio non può che incombere sull’amministrazione finanziaria.

Questo però non vale soltanto per i costi d’impresa. L’evidente generalità della previsione non consente di distinguere tra violazioni che derivano, ad esempio, da contestazioni di infedeltà del reddito dichiarato e violazioni che invece scaturiscono da un bonus fiscale recuperato: in entrambe le ipotesi, il solo soggetto onerato, in prima battuta, è sempre il Fisco. L’unica espressa eccezione, abbastanza scontata, riguarda le liti da rimborso, in relazione alle quali la prova spetta sempre al contribuente.

Crediti e bonus

La scelta fatta attraverso l’introduzione del nuovo comma 5-bis all’articolo 7 del Dlgs 546/1992 risulta pienamente condivisibile, se solo si considera che nel giudizio tributario, in realtà, l’attore è sempre l’amministrazione, mentre il contribuente si limita a reagire. E ciò vale a prescindere dalla natura della contestazione mossa.

Pertanto – come si è detto – anche per i crediti d’imposta e i vari bonus l’onere probatorio viene a gravare sull’amministrazione finanziaria, la quale deve dunque esperire un’istruttoria completa in ordine alla sussistenza dei requisiti di legge e non può limitarsi a contestazioni generiche.

Gli elementi di prova acquisiti durante tale fase istruttoria devono quindi essere puntualmente indicati nell’atto impositivo, considerata la piena osmosi tra prova procedimentale e prova processuale.

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