Aliquote differenziate e favorire investimenti e ricapitalizzazione
La profonda crisi economica mondiale causata dalla pandemia richiede misure straordinarie che siano in grado di provocare uno shock positivo nei fondamentali economici. Fra queste, una delle più urgenti è quella della radicale riforma della fiscalità d’impresa.
Un primo pilastro della riforma potrebbe essere quello di avvicinare la pressione fiscale sulle imprese all’aliquota nominale, restringendo le differenze fra reddito civilistico e base imponibile che creano un forte divario fra l’aliquota nominale e quella effettiva.
Un secondo pilastro dovrebbe essere quello di una vera semplificazione normativa e amministrativa che elimini l’ipertrofia legislativa, che è anche primo ostacolo all’azione di contrasto dell’evasione. Alla semplificazione è fortemente connesso il tema della certezza del diritto e un primo punto di partenza sarebbe dare rango costituzionale allo Statuto del contribuente. Inoltre, sarebbe importante che il progresso tecnologico e la digitalizzazione portassero un beneficio anche ai contribuenti per un più snello e rapido contatto con il Fisco.
Quale terzo pilastro si potrebbe intervenire in maniera “non neutrale” sulla propensione delle aziende a investire di più e a ricapitalizzarsi, con opportuni incentivi che facciano uscire il sistema economico dalla stagnazione sulla produttività. Alcune cose vanno mantenute e migliorate, quali: Industria 4.0, i crediti d’imposta per R&S, la patent box, i superammortamenti, la rivalutazione dei cespiti e l’Ace. A questi si potrebbe aggiungere il differimento di un terzo dell’Ires al momento della distribuzione del dividendo. In questo modo, lasciando inalterata l’attuale aliquota del 24%, la tassazione al momento della generazione del reddito sarebbe del 16%, agevolando il reinvestimento dei profitti per la crescita e per sostenere i nuovi investimenti.
Il quarto pilastro dovrebbe riguardare la stabilità finanziaria e quindi come e dove reperire le risorse per attuare la riforma senza dimenticare una visione responsabile degli equilibri di bilancio. Le soluzioni possono essere molteplici con impatti diversi. Una caratteristica peculiare del nostro sistema tributario è tassare poco i consumi e molto le attività produttive: lavoro e impresa. L’indicatore Ocse Vat Revenue Ratio misura il rapporto tra il gettito Iva attuale e quello potenziale se tutti consumi fossero tassati ad aliquota standard. In Italia nel 2018 il rapporto era del 38%, con una media Ocse del 56 per cento. Con un accorpamento delle aliquote, soprattutto agendo su quella del 10%, si potrebbe ottenere uno spostamento del carico dalle attività produttive ai consumi, limitando gli effetti regressivi sui consumatori.
Sul fronte equità, infine, non bisogna dimenticare che il principio della capacità contributiva si fonda sul rispetto dell’equità verticale, a differenza di reddito dovrebbe corrispondere una diversa tassazione. Potrebbe essere quindi giusto valutare una diversa aliquota che colpisca i redditi d’impresa a seconda del loro ammontare e si potrebbero superare le contraddizioni dei regimi forfettari che con l’attuale flat tax al 15% violano palesemente il principio di equità orizzontale, trattando diversamente contribuenti con lo stesso reddito.