Allevamenti, soccida a rischio riqualificazione da parte del Fisco
La monetizzazione è ammessa dalle Entrate ma rende l’Iva indetraibile. Per prevenire contestazioni occorre dividere tra le parti l’accrescimento o i frutti
I contratti di soccida sono sempre più oggetto di attenzione da parte dei verificatori fiscali. La soccida è un contratto fondamentale per il settore dell’allevamento, ma all’importanza di tale contratto associativo (tipizzato dal legislatore) non corrisponde una adeguata conoscenza delle logiche giuridico-fiscali che informano l’istituto.
Le regole del Codice civile
Disciplinato dagli articoli 2170 e seguenti del Codice civile, il contratto di soccida fa sì che due imprenditori (soccidante e soccidario) si associno per l’esercizio in comune dell’attività di allevamento degli animali al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano.
Nella soccida semplice, il soccidante conferisce il bestiame e spetta a lui la direzione dell’impresa. È importante sottolineare che il conferimento iniziale avviene a titolo di godimento, poiché la proprietà rimane in capo al soccidante, tanto è vero che il conferimento (anche dei mangimi, nei limiti stabiliti dal contratto: risoluzione 504929/1973) è fuori campo Iva. Il soccidario presta il lavoro per la custodia e l’allevamento degli animali secondo le direttive del soccidante.
La finalità del contratto è quella di dividere gli accrescimenti, cioè l’incremento che gli animali hanno avuto al termine del ciclo di allevamento (ingrasso) o i relativi frutti (ad esempio: uova), ma prima di procedere con la determinazione dell’effettivo valore dell’accrescimento e con la ripartizione è comunque importante che il soccidante prelevi il complesso di capi corrispondente al bestiame apportato in sede di conferimento iniziale.
La monetizzazione
Nonostante la soccida sia essenzialmente finalizzata alla ripartizione degli accrescimenti, l’agenzia delle Entrate ha previsto la possibilità della monetizzazione. In questa fattispecie gli animali vengono ritirati integralmente dal soccidante, il quale liquida al soccidario una somma di denaro. Secondo l’Agenzia (sempre risoluzione 504929/1973) «l’equivalente in denaro, anticipato dal soccidante a titolo di ripartizione dei frutti ovvero del prezzo ricavato dalla vendita dei frutti stessi, può considerarsi come quota spettante al soccidario a titolo di assegnazione e pertanto non soggetta ad Iva, sempreché tale alternativa sia prevista dal contratto di soccida intercorrente fra le parti». L’irrilevanza “a valle” crea in capo al soccidario una indetraibilità specifica dell’Iva assolta sugli acquisti e la riqualificazione della cessione mette a rischio la detrazione del soccidante.
Per ovviare a questo problema molto spesso il soccidario vende la propria quota di animali al soccidante, ma occorre evitare che ciò si riduca a una mera operazione contabile, poiché vi è il rischio concreto che il rapporto fra le parti sia considerato “di fatto” come una soccida monetizzata, in cui il soccidante ritira tutti gli animali e liquida al soccidario una somma di denaro corrispondente alla quota di accrescimenti valorizzata al prezzo di mercato del periodo di riferimento.
Al cospetto di contratti magari non chiarissimi e di una ripartizione degli animali che potrebbe apparire tale solo sulla carta, le Entrate potrebbero riqualificare il rapporto in soccida monetizzata disconoscendo la detrazione Iva in capo alle parti con sanzioni assai rilevanti. Impossibile generalizzare: solo un esame caso per caso permette di dare un giudizio, prendendo atto che, comunque, il confine è sottile e che spesso il contenzioso con l’amministrazione si risolve in una questione di onere probatorio.
Come prevenire
la riqualificazione
Per dare fondamento giuridico alla ripartizione degli animali e legittimare la fatturazione della quota di spettanza del soccidario, riteniamo importante che gli accrescimenti vengano in prima battuta effettivamente divisi fra le parti, poiché se così non fosse non verrebbe meno la titolarità del bestiame in capo al soccidante (articolo 2171 del Codice civile) e i compensi percepiti dal soccidario sarebbero assimilati a una ripartizione di proventi in denaro. Si tratterebbe quindi di un’operazione non rilevante ai fini Iva e, come più volte stabilito dalla Cassazione, non spetterebbe alcun diritto di detrazione (pronunce 11592/2021, 14971 e 21491 del 2005, 8727 e 27715 del 2013).
La ripartizione degli animali deve desumersi prima di tutto dal contratto, in cui è opportuno riportare in maniera chiara ed univoca tale scelta. Assume grande importanza, a nostro avviso, la redazione del verbale di inizio e fine ciclo da cui sarà possibile ricavare l’entità degli accrescimenti che, in base alla buona riuscita dell’allevamento, dovranno essere divisi fra le parti, ma solo previo prelievo da parte del soccidante del numero di capi corrispondente a quelli conferiti in origine.
Con comportamenti ben definiti contrattualmente e coerenti nella fase esecutiva, la vendita da soccidario a soccidante potrebbe dunque essere considerata un’operazione rilevante Iva che legittima la detrazione in capo alle parti.
I punti chiave
1. IL CONTRATTO
L’obiettivo della divisione dell’accrescimento
In base all’articolo 2170 del Codice civile, nel contratto di soccida il soccidante e il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse. L’obiettivo del contratto è dividere l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano.
2. LE REGOLE IVA
Operazione fuori campo e il caso della monetizzazione
Il conferimento iniziale del soccidante avviene a titolo di godimento, poiché la proprietà rimane in capo al soccidante; l’operazione è, quindi, fuori campo Iva. Se gli animali vengono ritirati integralmente dal soccidante, che liquida al soccidario una somma di denaro (cosiddetta soccida monetizzata), secondo l’Agenzia (sempre risoluzione 504929/1973) «l’equivalente in denaro, anticipato dal soccidante a titolo di ripartizione dei frutti ovvero del prezzo ricavato dalla vendita dei frutti stessi, può considerarsi come quota spettante al soccidario a titolo di assegnazione» non è soggetta a Iva «sempreché tale alternativa sia prevista dal contratto di soccida intercorrente fra le parti».
3. GLI ACCERTAMENTI
L’Agenzia disconosce la detrazione Iva al soccidario
Nella realtà avviene spesso che il soccidante acquisti dal soccidario la quota di animali ottenuti da quest’ultimo per effetto dalla ripartizione, con una ordinaria operazione di cessione soggetta a Iva. Tuttavia, l’agenzia delle Entrate, in sede di verifica, tende a riqualificare tale contratto in “soccida monetizzata”, disconoscendo la detrazione Iva al soccidario (a fronte di una operazione “a valle” considerata fuori campo) e la detrazione operata dal soccidante sull’imposta applicata (e liquidata) dal soccidario.
4. LA PRONUNCIA
La Cassazione salva la detrazione del soccidario
In una recentissima ordinanza (15764/2023 depositata il 6 giugno scorso) la Corte di cassazione ha accolto il ricorso del soccidario, legittimando la detrazione Iva di quest’ultimo e riconoscendo come non fondata la riqualificazione operata dall’agenzia delle Entrate.
5. LA QUESTIONE
Sanzioni penalizzanti per i casi di Iva applicata in eccesso
Più in generale, con riferimento alla detrazione del soccidante, il tema rientra nel più ampio contesto dell’interpretazione dell’articolo 6, comma 6, Dlgs 471/1997, volto a riconoscere tale detrazione e ad applicare ai casi di specie una disciplina sanzionatoria non penalizzante al di fuori dei casi di frode. Tuttavia, varie sentenze di Cassazione hanno eccessivamente limitato l’applicabilità di tale disposizione, rifacendosi ad una lettura della giurisprudenza comunitaria da molti non condivisa.
6. LA RICHIESTA
Il Consiglio nazionale: la norma va rimodulata
Il Cndcec, nelle proposte emendative alla legge delega di riforma fiscale presentate in Parlamento, ha evidenziato l’importanza di intervenire sul testo della disposizione, rendendola più conforme allo spirito per cui è stata dettata ed ai principi di neutralità dell’Iva e proporzionalità delle sanzioni emergenti dal diritto comunitario e dalle sentenze della Corte di giustizia Ue.