Professione

Alt alle discriminazioni nelle profilazioni Ue antiriciclaggio

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di Stefano Capaccioli

La IV direttiva antiriciclaggio (direttiva Ue 2015/849) richiede verifiche differenziate sulla base di un approccio orientato al rischio. Ma senza perdere d’occhio le tutele previste nella Ue e in particolare il principio di non discriminazione richi amato dalla Carta di Nizza che salvaguarda i diritti dei cittadini europei. In particolare la direttiva deve essere applicata «in modo non discriminatorio per quanto riguarda le valutazioni del rischio nell’ambito dell’adeguata verifica della clientela». È evidente quindi che la valutazione del rischio sull’adeguata verifica deve, quindi, svolgersi nel rispetto del divieto di qualsiasi discriminazione. Tuttavia, le forme di trattamento automatizzato basate sui big data possono comportare profilazioni non consentite dalla IV direttiva stessa. Occorre quindi analizzare la norma e verificare quali possano essere i limiti per determinare il raggio di azione consentito nel pieno rispetto di parametri e diritti, evitando la creazione di aree geografiche o di cittadini europei di peso diverso.

La normativa antiriciclaggio prevede forme differenziate di verifica della clientela al fine di proporzionare le attività da porre in essere da parte dei soggetti obbligati con una modulazione delle attività da svolgersi con un approccio basato sul rischio, così come previsto dalla IV direttiva antiriciclaggio all’allegato III. Il Dlgs 90/2017 ricalca tale impostazione all’art 24 ove vengono enucleati i fattori di rischio per applicare le misure rafforzate di adeguata verifica della clientela, individuati in tre macro categorie: (i)

— relativi al cliente;

— relativi ai prodotti;

— servizi, operazioni o canali di distribuzione ;

—relativi alla area geografica, intendendo Paesi che da fonti attendibili, siano privi di sistemi efficaci di Aml/Cft, ad elevato livello di corruzione o altre attività criminose, di Paesi soggetti a sanzioni o embargo o misure analoghe ovvero paesi che sostengono attività terroristiche.

La ratio di tale previsioni è da rinvenire nel considerando 29 della IV direttiva, ove si invita ad operare misure di verifica rafforzata quando i soggetti obbligati trattino con persone fisiche o soggetti giuridici aventi sede in paesi terzi ad alto rischio individuati dalla Commissione. Tale segmentazione di fattori di rischio può essere interpretata come un’attività di profilazione necessaria per differenziare il cliente.
La IV direttiva antiriciclaggio prevede, di converso, l’assoluto rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini europei (considerando 65), e richiede espressamente (considerando 66) agli Stati membri di assicurare che la direttiva «sia applicata in modo non discriminatorio per quanto riguarda le valutazioni del rischio nell’ambito dell’adeguata verifica della clientela», richiamando espressamente l’articolo 21 della Carta di Nizza; a norma della stessa «è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali», nonché qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati.
La questione che si pone è relativa alla composizione del concetto dei fattori di rischio connessi all’adeguata verifica con il rispetto dei diritti fondamentali.
In primis, occorre rilevare che la norma indica che il fattore di rischio è collegato al cliente residente in aree geografiche ad alto rischio (articolo 24 comma 2, lettera a), numero 2 del Dlgs 231/2007 e previsto dall’allegato III numero 1, lettera b), specificamente indicate ma riferibili esclusivamente a paesi terzi rispetto all’Unione europea.
Da ciò, il principio di non discriminazione previsto dall’articolo 21 della Carta, impone una parità di trattamento di tutti i residenti in Unione europea, non essendo possibile distinguere per determinate categorizzazioni di reddito, razza, religione, orientamenti sessuali, politici e nemmeno per localizzazione.
Difatti non è prevista, né può essere prevista una qualsivoglia discriminazione che non sia pertinente all’anomalia oggettiva della operazione, e non per elementi del soggetto eccezione fatta per la residenza in paesi terzi “a rischio”.
Tale aspetto, congiuntamente alla algoritmizzazione di tali tipi di controlli da “black box” connessi ai bigdata, deve essere messo adeguatamente alla luce, dato che molte società stanno offrendo soluzioni automatizzate per svolgere le funzioni di adeguata verifica che selezionino le operazioni da porre sotto osservazione, partendo dai dati in possesso.
Le policy antiriciclaggio e le forma di automazione devono in ogni caso rispettare ed essere neutre relativamente alle persone da selezionare, per evitare fastidiose discriminazioni. Un ventenne iracheno, residente a Molembeek a Bruxelles, non può avere un profilo di rischio diverso da una baronessa svedese sessantenne residente a Stoccolma per il solo fatto della loro diversità razziale, sessuale, religiosa, luogo di residenza e nazionalità: ciò costituirebbe una intollerabile discriminazione vietata a norma dell’articolo 21 della carta, come del resto porre su due classi di rischio diverse un disoccupato di Scampia rispetto ad un notaio trentino.
La norma lo vieta, non è possibile, è illecito, è vietato a norma dell’articolo 21 della Carta e anche della nostra Costituzione. Non esistono e non possono esistere in Unione Europea, ed in Italia in particolare, cittadini di serie A e di serie B, solo per risiedere in luoghi fisici diversi all’interno dello stesso paese.
Molti disciplinari per la valutazione dei fattori rischio richiedono un’analisi territoriale all’interno dell’Unione Europea, ma pur comprendendone la buona fede, occorre riportare le norma nei suoi confini e nelle sue finalità previste dai considerando, evitando che la stessa esondi con la creazione di cittadini di diverso peso o di diversa reputazione di fronte alla normativa antiriciclaggio in relazione alla residenza o ad altre caratteristiche personali, richiedendo agli uni maggiori informazioni rispetto ad altri.

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