Amministrare non è lavoro subordinato
In assenza di una espressa delibera dell’assemblea dei soci non spetta alcun compenso all’amministratore di una società a responsabilità limitata, il cui statuto preveda come meramente eventuale l’attribuzione di indennità in favore degli amministratori. È quanto deciso dal tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di impresa, con sentenza del 29 settembre 2017, numero 9762. Per i giudici milanesi è dirimente non tanto il mancato richiamo in materia di società a responsabilità limitata dell’articolo 2389 del codice civile dettato per le società per azioni, ma il fatto che in tutte le società di capitali il diritto al compenso deve ritenersi disponibile e può essere escluso da una previsione dello statuto sociale.
La sentenza conferma, anche dopo la riforma del diritto societario del 2003 (Dlgs. 6/2003), l’orientamento formatosi in precedenza, per il quale il diritto al compenso degli amministratori «è disponibile e può anche essere derogato da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell’incarico» senza che possa trovare applicazione la regola dettata nell’articolo 36 della Costituzione, relativa al diritto del lavoratore a percepire una retribuzione proporzionata e sufficiente alla quantità e qualità del lavoro prestato, «la cui portata applicativa è limitata al lavoro subordinato», come recentemente ribadito, per un caso regolato dalle norme ante riforma, dalla Corte di Cassazione con sentenza del 21 giugno 2017, numero 15382.
I giudici milanesi, inserendosi nel solco tracciato dalla Suprema corte, hanno quindi ritenuto che, in presenza di una clausola che preveda la gratuità dell’incarico o la mera eventualità della corresponsione del compenso, l’amministratore non possa avanzare pretese di sorta, salvo che sia stata adottata una delibera assembleare che abbia stabilito la corresponsione di compensi o indennità, e ciò indipendentemente dal fatto che l’amministratore sia o non sia socio della società; precisazione, quest’ultima, assai importante, che consente alla corte di ribadire il principio in virtù del quale lo statuto di una società è vincolante non solo per i soci, ma anche per i soggetti chiamati a rivestire incarichi sociali e che intrattengono rapporti economici con la società.
La sentenza conferma inoltre la posizione assunta dal Tribunale di Milano prima della riforma della disciplina inerente l’omologa degli atti societari (avvenuta con la Legge 340 del 2000) circa la legittimità della clausola statutaria con cui venga disposta la gratuità dell’incarico di amministratore di una società di capitali.
A livello operativo, quanto detto vale nella misura in cui l’incarico sia conferito successivamente all’introduzione della clausola nello statuto sociale, principio ricordato dalla massima H.C.10 della commissione Società del comitato Triveneto dei notai, che si riferisce all’ipotesi, per certi versi assimilabile a quella in commento, di clausola statutaria che escluda il risarcimento dei danni arrecati agli amministratori revocati senza giusta causa.