Contabilità

Amministratore di fatto con la responsabilità nella gestione

di Eleonora Alampi e Valerio Vallefuoco

La corretta individuazione della figura dell’ amministratore di fatto resta uno dei nodi più difficili da sciogliere soprattutto in vista dell’attribuzione al soggetto attivo dei reati propri fallimentari, per la Cassazione penale è fondamentale la partecipazione attiva alla gestione sociale dell’amministratore. Lo dimostra la sentenza 27163/2018 , con la quale la Suprema corte ha ravvisato consistenti incongruenze logiche nella motivazione con la quale i giudici di merito avevano affermato la responsabilità della ricorrente per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in qualità di amministratore di fatto di una Srl.

La Cassazione ha censurato le conclusioni cui erano pervenuti i giudici nei precedenti gradi di giudizio non risultando sufficientemente provata la partecipazione attiva dell’imputata nell’amministrazione della società fallita. In particolare, la Suprema corte ha ritenuto la sentenza della Corte d’appello, che aveva confermato quella di primo grado, priva di qualsiasi indicazione in ordine a specifiche e non occasionali attività di gestione e su precise condotte aventi rilevanza esterna tali da ingenerare nei terzi il convincimento che l’imputata fosse effettivamente gestrice della società. In un lungo obiter dictum, la Corte ha fornito una puntuale ricostruzione dell’articolo 2639 del Codice civile, che in materia di reati societari equipara alla figura dell’amministratore di diritto quella dell’amministratore di fatto.

L’estensione della qualifica soggettiva presuppone secondo il dettato legislativo l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Nel chiarire la portata della previsione contenuta nel codice, la Corte osserva che “significatività e continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri dell’organo di gestione, ma richiedono in ogni caso l’esercizio di una apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. In questa ottica, la prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza in capo all’imputato della qualità di amministratore di fatto, accertamento che, prosegue la Corte, deve tenere conto di una serie di indici sintomatici tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale.

Tornando ai fatti di causa, la Corte ha escluso che potessero essere considerati alla stregua di atti gestori la partecipazione ad accordi finalizzati alla spartizione dei beni sociali o anche l’asserito trasferimento simulato di beni allo scopo di sottrarli alla garanzia dei creditori. Né potrebbero essere considerati come indici rivelatori della qualità di amministratore di fatto, eventuali dichiarazioni al Curatore fallimentare in ordine agli assetti societari e alla ripartizione dei beni sociali, trattandosi di mere dichiarazioni di scienza poste in essere dopo la dichiarazione di fallimento. Infine secondo la Cassazione, l’estensione della qualifica soggettiva non potrebbe avvenire sulla base della mera constatazione di un non meglio precisato spirito di comando ravvisato nella condotta del presunto amministratore di fatto.

Cassazione, V sezione penale, sentenza 27163 del 13 giugno 2018

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