Anche i Paesi della Ue sono a rischio black list
Dalle «black list» ai singoli «black countries». Nella complessa disciplina delle Cfc (Controlled foreign companies) le «list» scompaiono, sostituite dalla formula dell’articolo 167, comma 4, del Tuir (Dpr 917/1986), introdotta dalla legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 142, legge 208/2015), secondo cui i regimi fiscali di Stati o territori sono privilegiati se il livello nominale di tassazione è inferiore al 50% di quello applicabile in Italia.
E i nuovi paradisi fiscali ai fini dell’applicazione della disciplina Cfc potrebbero non essere così distanti dall’Italia, geograficamente parlando. Possono infatti rientrare tra i «black countries» anche i Paesi europei, a determinate condizioni.
La norma
A prevederlo è il comma 8-bis dell’articolo 167 del Tuir, che si applica agli Stati appartenenti alla Ue e a quelli aderenti allo Spazio economico europeo che hanno stipulato con l’Italia accordi per un adeguato scambio di informazioni, e che quindi risultano “trasparenti”.
Nel dettaglio, la norma stabilisce che per gli Stati Ue e per gli Stati See trasparenti, la disciplina Cfc - quindi l’attrazione per trasparenza in capo alla controllante dei redditi prodotti, con conseguente imposizione in base alle norme italiane - si applica se si verificano congiuntamente due condizioni:
tassazione effettiva inferiore al 50% di quella italiana;
conseguimento di proventi per più del 50% da gestione di attività finanziarie o da prestazione di servizi infragruppo (i passive income).
Particolare attenzione è richiesta per individuare il livello di tassazione, che nel caso degli Stati Ue o See trasparenti è su base effettiva, mentre per i Paesi “privilegiati” in base al comma 4 dell’articolo 167 è su base nominale, con notevoli differenze in termini di raffronto tra le tassazioni domestica ed estera; proprio con l’intento di chiarire le modalità di determinazione del tax rate è stato emanato il provvedimento del 16 settembre 2016 del direttore dell’agenzia delle Entrate.
La dimostrazione
Per scongiurare l’applicazione della disciplina delle Cfc per i paesi Ue e See catturati dal perimetro del comma 8-bis dell’articolo 167, l’unica strada possibile è quella fornita dal comma 8-ter: se la società italiana riesce a dimostrare che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale, si libera dall’onere impositivo delle regole nazionali, applicando solo le regole di tassazione estera.
Per dimostrare questa circostanza occorre presentare un interpello probatorio; si tratta di un interpello facoltativo, che però impone degli obblighi di segnalazione (nel quadro FC del modello per le dichiarazioni dei redditi) della detenzione delle partecipazioni nelle imprese estere controllate; l’obbligo sussiste anche nel caso (rischioso ma comunque possibile) in cui la società residente decida di non applicare la disciplina delle Cfc senza avere prima presentato l’interpello.
In sostanza, viene posto a carico del contribuente l’onere di valutare in primo luogo quale disciplina lo riguardi, in secondo luogo come procedere per non incorrere in sanzione.