Contabilità

Ancora in bilico la neutralità Irap dei ristorni riconosciuti ai soci

Secondo le circolari è neutra la scelta di contabilizzazione delle somme, ma è ancora valida una diversa interpretazione di un documento non pubblicato

di Giorgio Gavelli e Fabio Giommoni

La neutralità fiscale dei ristorni nelle cooperative, in particolare ai fini Irap, nella pratica può essere minata da alcune posizioni assunte dalle Entrate e ormai datate. Vediamo perché.

In base all’articolo 12 del Dpr 601/1973, per le società cooperative e loro consorzi sono ammesse in deduzione dal reddito le somme ripartite tra i soci sotto forma di restituzione di una parte del prezzo dei beni e servizi acquistati o di maggiore compenso per i conferimenti effettuati. Queste somme possono essere imputate a incremento delle quote sociali.

La prassi

Dalle circolari 53/E/2002 e 35/E/2008 emergono alcuni principi. Le somme erogate a questo titolo sono in linea di principio deducibili nell’esercizio con riferimento al quale sono maturati gli elementi di reddito presi a base di commisurazione dei ristorni; ciò sia se i ristorni vengono imputati direttamente a conto economico, sia se (destinando a tale scopo una quota di utile di esercizio) si interviene operando una variazione in diminuzione in sede dichiarativa.

In sostanza, va riconosciuta «perfetta neutralità fiscale della scelta tra accantonamento al bilancio come costo e distribuzione di utile, valido per la generalità delle cooperative».

L’interpretazione delle Entrate

Quest’ultimo passaggio è molto chiaro nelle circolari citate, al punto che nella 35/E/2008 si legge che: «a prescindere dalla modalità di attribuzione del vantaggio mutualistico, la tassazione in capo alla cooperativa dovrebbe essere identica». Lo stesso passaggio è stato però sorprendentemente limitato da alcuni vecchi documenti non pubblicati dell’Agenzia (in particolare, consulenza giuridica n. 954-69/2015) nei quali si legge che, non essendo prevista ai fini Irap una disposizione specifica di deducibilità dei ristorni, ne conseguirebbe che, nel solo caso di somme riconosciute come destinazione dell’utile d’esercizio, esse sarebbero da considerarsi come non deducibili. Diversamente, l’imputazione diretta a conto economico (quali maggiori costi o minori ricavi) ne consentirebbe la deduzione anche ai fini del tributo regionale.

La fragilità di una simile conclusione è evidente: non può essere, infatti, la modalità di definizione del ristorno scelta dalla cooperativa (obbligo statutario o regolamentare ovvero deliberazione assembleare) a mutarne il trattamento fiscale, quanto, piuttosto, la natura di questo componente reddituale, che è identico in entrambi i comportamenti.

Queste posizioni interpretative delle Entrate – basate su una immotivata prevalenza “a senso unico” della forma sulla sostanza, spesso in violazione del principio di correlazione – hanno contributo a rendere l’Irap un tributo particolarmente sgradito alle imprese, tanto che il suo destino appare irrimediabilmente segnato. Nel frattempo, però, un po’ di buon senso nella pratica non guasterebbe.

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