I temi di NT+Modulo 24

Antieconomicità, difesa con armi spuntate sulla libertà di iniziativa

Con il recupero a tassazione dei costi antieconomici non viene violato dal Fisco il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica

di Alessandro Borgoglio

Ci si è ormai abituati da tempo ad affrontare il tema degli accertamenti da comportamento antieconomico sotto il profilo della legittimità di una simile metodologia accertativa, chiedendosi cioè se tali atti impositivi siano supportabili normativamente dalle disposizioni sugli accertamenti presuntivi (articoli 39 del Dpr 600/1973 e 54 del Dpr 633/1972).

Non è però infrequente che nelle impugnazioni di tali accertamenti siano sollevate eccezioni riguardanti la violazione del principio costituzionale della libertà di iniziativa economica, atteso che, in qualche misura, le riprese fiscali potrebbero andare a incidere sulle scelte discrezionali imprenditoriali.

La Suprema corte, con un recente arresto, ha ribadito la sua posizione, da ritenersi invero consolidata, affermando che simili riprese da parte dal Fisco non violano il principio anzidetto e, quindi, sono da ritenersi legittime anche in relazione al dettato costituzionale.

Antieconomicità come sintomo del difetto di inerenza

Secondo il consolidato orientamento dei giudici di piazza Cavour, ove la contabilità risulti formalmente regolare, ma si riveli intrinsecamente inattendibile per l'antieconomicità del comportamento del contribuente, in applicazione dell'articolo 39, comma 1, lett. d), del Dpr 600/1973, l'Amministrazione finanziaria può desumere in via induttiva - sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti - il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, lasciando al contribuente l'onere di fornire la prova contraria mediante la dimostrazione della correttezza delle proprie dichiarazioni (Cassazione n. 24578/2022; nello stesso senso, Cassazione nn. 6064/2022, 17596/2021, 12848/2021, 10728/2020, 17495/2019 e 33087/2018), e non essendo l'Ufficio tenuto a fornire ulteriori elementi a sostegno all'accertamento induttivo (Cassazione n. 1282/2021).

In particolare, per quanto concerne le riprese fiscali riguardanti i componenti negativi di reddito, l'Amministrazione finanziaria, nel negare l'inerenza di un costo per mancanza, insufficienza o inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la rilevanza, può contestare l'incongruità e l'antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza pur non identificandosi in essa; in tal caso è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell'attività` d'impresa e alle scelte imprenditoriali (Cassazione n. 18904/2018).

Vi è da notare, peraltro, che, come dimostrano gli anni recentissimi in cui sono state depositate le sentenze sopra richiamate, la posizione della Suprema corte sullo specifico punto dell'antieconomicità non è cambiata nel tempo, nonostante che a partire dal 2018 sia mutato il concetto di inerenza valorizzato dai supremi giudici: secondo uno storico principio di legittimità, infatti, l'inerenza esprime la relazione tra due concetti, la spesa e l'impresa, per cui il costo risulta deducibile non tanto se è specificamente connesso a una determinata componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un'attività potenzialmente idonea a produrre utili (tra le tante, Cassazione nn. 12168/2009, 7340/2008, 16826/2007), per cui, in tale prospettiva, l'inerenza è formulata in termini di suscettibilità, anche solo potenziale, di arrecare, direttamente o indirettamente, un'utilità all'impresa, richiamandosi a quanto stabilito dall'articolo 109, comma 5, del Tuir (Cassazione n. 10914/2015); col più recente orientamento di legittimità, inaugurato con l'ormai nota sentenza n. 450/2018, si è affermato che il criterio utilitaristico (tradizionalmente considerato), all'interno di una relazione deterministica che sottende a rapporti di causalità tra costi e attività d'impresa, comporta una valutazione di tipo quantitativo, laddove, invece, l'inerenza deve essere apprezzata esclusivamente in termini qualitativi, a prescindere da utilità e vantaggi apportati dal costo, nonché dalla sua congruità, per cui, in sostanza, è sufficiente che il costo si correli all'attività in concreto esercitata dal contribuente (tra le tante, Cassazione nn. 27786/2018, 30366/2019).

Nonostante questa evoluzione di pensiero dei giudici di legittimità sul concetto di inerenza, l'incongruità e l'antieconomicità della spesa continuano a rimanere indici rivelatori del difetto di inerenza, con l'onere del contribuente di dimostrare la regolarità dell'operazione e della scelta imprenditoriale (tra le tante, si vedano Cassazione nn. 27786/2018, 24536/2019 e 19237/2021 per cui l'antieconomicità può costituire “significativo sintomo” della non inerenza).

Le riprese del Fisco non violano i diritti costituzionali

Posta quindi, per quanto sopra illustrato, la legittimità della metodologia accertativa basata sull'antieconomicità, per lo meno secondo la consolidata posizione della Suprema corte, è interessante osservare come, con la recente Cassazione 35126/2022, i supremi giudici abbiano altresì escluso il contrasto della rilevanza dell'antieconomicità con il principio di libertà dell'iniziativa economica, garantito dall'articolo 41 della Costituzione, per cui “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

Per i giudici di piazza Cavour, infatti, il merito delle scelte imprenditoriali è insindacabile, tranne le ipotesi di macroscopiche violazioni degli obblighi in capo agli amministratori o ai sindaci o di condotte platealmente antieconomiche, gravando sull'imprenditore, anche collettivo, l'obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale. Sicché in tal caso, il sindacato del giudice non coinvolge le scelte di merito dell'imprenditore, attenendo alla verifica del corretto adempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, con riduzione dell'operatività della c.d. business judgement rule, sempre valutabile, sotto il profilo tributario, per condotte platealmente antieconomiche (si veda in tal senso anche Cassazione n. 36365/2021).

In particolare, per i giudici di legittimità, la norma costituzionale - articolo 41 - non reca disposizioni relative alle modalità di comportamento all'interno delle iniziative economiche, ma si limita soltanto a garantire la libertà dell'iniziativa economica (comma 1), che non deve mai svolgersi in contrasto con l'utilità sociale (comma 2), ma anzi deve essere indirizzata e coordinata a fini sociali (comma 3). Libertà di iniziativa non significa che ciascuno può fare ciò che vuole. Limitazioni sono sempre consentite quando l'iniziativa stessa contrasti con l'utilità e i fini sociali, specialmente se le finalità sociali sono anche oggetto di apposita tutela costituzionale, come nell'ipotesi che qui interessa della realizzazione della integrità del gettito tributario e del rispetto della regola dell'obbligo della contribuzione fiscale in ragione della capacità contributiva (articolo 53, comma 1, Cost.).

Secondo la Cassazione, in conclusione, «l’argomento della libertà della iniziativa privata (…) per “sterilizzare” la valenza probatoria del comportamento antieconomico tenuto dal contribuente appare assolutamente fallace». Il contribuente (imprenditore o lavoratore autonomo) è libero di organizzare e svolgere la propria attività in maniera antieconomica, ma se ne derivi una attenuazione dell'obbligo di contribuire alla spesa pubblica, egli è tenuto a dar conto alla collettività di tale anomala scelta. In questa prospettiva, i comportamenti che si pongono in contrasto con le regole del buon senso e dell'id quod plerumque accidit uniti alla mancanza di una giustificazione razionale (che non sia quella di eludere il precetto tributario), assurgono al ruolo di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti che legittimano il recupero a tassazione dei relativi costi (così Cassazione nn. 23634-5-6/2008).

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