Antieconomicità solo con un comportamento manifesto e infondato
La violazione del principio di economicità si realizza solo in presenza di un comportamento manifestamente e palesemente antieconomico. È quanto emerge dalla sentenza 5162/03/2017 della Ctp Milano depositata il 9 agosto scorso (presidente e relatore Locatelli), che accoglie i ricorsi riuniti relativi ad avvisi di accertamento emessi dall’agenzia delle Entrate ai fini Ires, Irap e Iva.
La vicenda
La controversia traeva origine da due distinti avvisi di accertamento ai fini Ires, Irap e Iva emessi dall’amministrazione finanziaria a carico di una holding esercente l’attività di vendita di prodotti e servizi assicurativi, di risparmio e di investimento; la ricorrente, interamente posseduta da altra società con sede estera, deteneva partecipazioni in numerose società del gruppo a cui forniva servizi amministrativi di tipo organizzativo, legale, fiscale e finanziario.
La contestazione avanzata dal Fisco si fondava essenzialmente sulla deduzione di una palese condotta antieconomica della contribuente in quanto dalla sua attività di erogazione di servizi alle partecipate emergevano ricavi nemmeno sufficienti a pareggiare i costi; pertanto procedeva a rettificare in aumento il valore della produzione netta rideterminando la maggiore imposta dovuta ed ai fini Iva recuperava l’imposta non versata in conseguenza del mancato riaddebito alle società controllate di costi per i servizi infragruppo ritenuti non fatturati né registrati dalla società verificata con operazioni imponibili di pari importo.
La ricorrente impugnava gli avvisi di accertamento sostenendo l’inesistenza dell’obbligazione tributaria e l’assenza di danno erariale per aver aderito al regime del consolidato fiscale nazionale con la conseguente neutralizzazione della maggiore Ires in capo alla società a livello di tassazione di gruppo attraverso il meccanismo della compensazione tra i maggiori ricavi imputati alla controllante con i maggiori costi imputati alle controllate; eccepiva di conseguenza la violazione e falsa applicazione da parte dell’ufficio dell’articolo 85 del Tuir (Dpr 917/1986) in relazione alla contestata omessa fatturazione di ricavi in assenza del riaddebito di costi alle società infragruppo.
La decisione
Il collegio inizia a tracciare il percorso motivazionale al fine di risolvere la controversia partendo dall’assunto circa l’esistenza dei costi sostenuti dalla ricorrente , non contestata dall’ufficio se non sotto il profilo dell’inerenza in quanto dedotti dalla ricorrente e non riaddebitati alle partecipate; richiama quindi a supporto il principio di diritto espresso sul punto dai giudici di legittimità i quali hanno stabilito che è legittimo l’accertamento solo in presenza di un comportamento che appaia «manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico», laddove il costo non è inerente in senso quantitativo e non è riferibile ad un’ attività produttiva di ricavi o proventi che concorrono alla formazione del reddito del soggetto che ha effettuato la deduzione (articolo 109, comma 5, del Dpr 600/1973).
Nel merito la Commissione evidenzia l’errore commesso dai verificatori in contrasto con il principio di diritto richiamato in quanto avevano utilizzato una metodologia di accertamento incentrata sulle spese per il personale, con elementi di indeterminatezza ed articolata su operazioni complesse per separare i componenti positivi e negativi riconducibili alle due funzioni svolte dalla società verificata (direzione/ fornitura di servizi). Veniva pertanto meno la liceità dell’accertamento in assenza del requisito di una condotta «manifestamente e palesemente» antieconomica; i giudici ricordano altresì che la determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo secondo il valore normale dei beni o servizi non si applica alle transazioni con società infragruppo aventi sede nel territorio dello Stato, come nel caso di specie.
La Ctp conclude la motivazione sul fronte Iva richiamando a supporto la disposizione dell’articolo 6, comma 3, del Dpr 633/1972 e stabilendo che la società ricorrente non aveva alcun obbligo di fatturare somme non incassate posto che la fattura deve essere emessa al momento dell’effettuazione dell’operazione imponibile che per le prestazioni di servizi coincide con il pagamento del corrispettivo.
Ctp Milano, sentenza 5162/02/2017