Professione

Antiriciclaggio, spazio all’alert sulle attività sospette

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di Ranieri Razzante

In tema di segnalazioni di operazioni sospette di antiriciclaggio, esiste la possibilità di una comunicazione che può essere fatta, a livello collaborativo e senza trattare i dati personali fuori norma, nell’interesse di allontanare potenziali riciclatori dalle proprie attività finanziarie. Lo prevede il nuovo articolo 39 del decreto 231/2007 sul riciclaggio, come modificato dal decreto 90 di quest’anno.

La norma prevede che ognuno dei soggetti obbligati alle Sos antiriciclaggio (segnalazioni di operazioni sospette), e non solo chi materialmente l’ha inoltrata (i responsabili antiriciclaggio delle diverse strutture delle imprese finanziarie o degli studi professionali), ha il dovere e l’obbligo di non comunicare al cliente segnalato, ma anche a terzi che possano essere interessati a saperlo (parenti, conoscenti, fornitori o clienti, colleghi dello studio professionale non coinvolti nella prestazione al cliente, colleghi delle strutture bancarie non coinvolti nel processo interno della Sos), che il soggetto ha subìto una segnalazione all’Uif per aver compiuto operazioni considerate sospette di riciclaggio ovvero di finanziamento del terrorismo. In caso di violazione di tale obbligo scatta la sanzione penale dell’arresto da sei mesi a un anno e l’ammenda da 5mila a 30mila euro, così come previsto dal comma 4 dell’articolo 55 del decreto.

Queste norme hanno reso difficile, nel passato, una collaborazione più stretta tra uffici degli stessi intermediari, soprattutto nelle strutture di gruppo; senza dire poi dei passaggi di notizie all’interno di strutture professionali e, a maggior ragione, tra professionisti e banche o intermediari per clienti in comune.

Sulla questione sono stati particolarmente sensibili i liberi professionisti, già restii alle Sos in virtù del richiamato segreto professionale. Per loro il vero problema è quello di sconsigliare al cliente di compiere operazioni non in linea con la normativa antiriciclaggio, senza per questo incorrere in una omessa segnalazione, oppure una comunicazione di fatto al cliente stesso che una Sos sarebbe potuta arrivare anche da altri soggetti obbligati coinvolti nella pratica.

Il comma 6 dell’articolo 39 dispone ora che «il tentativo del professionista di dissuadere il cliente dal porre in atto una attività illegale non costituisce violazione del divieto di comunicazione previsto dal presente articolo». Ciò significa che se uno dei professionisti obbligati dal decreto 231 convince il cliente a non porre in essere operazioni non “sospette” – si badi bene –, bensì “illegali”, essi non incorreranno nella violazione del divieto di comunicazione dicendo al cliente la classica frase «guardi che questa operazione verrebbe segnalata come sospetta», oppure «dovrei segnalare questa operazione, che lei mi chiede, come sospetta».

Ciò risolve un problema a monte, ma dobbiamo ricordare che il professionista o l’operatore bancario dovrebbero astenersi, ovviamente, dalla richiesta illegittima, facendo comunque una Sos se lo ritengono opportuno. È chiaro che se il rapporto non sorgesse, non vi sarebbero molti estremi per procedere alla Sos in questione, e quindi non si violerebbe né l’articolo 35 (sull’obbligo di Sos), né il 39 appena citato.

Ciò è estensibile al caso in cui la Sos venga invece prodotta e uno dei professionisti dello studio (o di studi diversi, ma che abbiano curato la pratica congiuntamente) lo riveli ad un altro per evitare che il cliente procuri ulteriori danni. Il divieto, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’articolo 39, non si considererà eluso.

Anche per gli intermediari bancari e finanziari, diversi o appartenenti a medesimo gruppo, o addirittura con sedi estere, varrà l’esenzione da sanzione nel momento in cui la comunicazione di aver fatto una Sos da parte di uno di essi avvenga rispettando gli articoli 42, 43 e 44 del codice della privacy. Per gli esteri, ovviamente, si richiede la presenza di norme che garantiscano obblighi e protezioni equivalenti.

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