Assegnazioni, il bivio dei valori intermedi
L’assegnazione dei beni immobili ai soci è a rischio quando si sceglie un valore intermedio tra quello catastale e il valore normale? Un passaggio della circolare 37/E/2016 sembra aprire questo nuovo fronte, nel già complesso panorama delle fiscalità delle assegnazioni. Vediamo perché.
Al paragrafo 13 della circolare viene affermata la necessaria identità tra l’opzione sul valore effettuata ai fini del calcolo dell’imposta sostitutiva e quella per determinare la base imponibile da assumere a tassazione ai fini dell’imposta di registro. Si aggiunge che: «Nel caso in cui il contribuente non eserciti l’opzione di cui al citato articolo 1, comma 117, ai fini della determinazione della base imponibile da assumere a tassazione in relazione all’imposta di registro trovano, quindi, applicazione i principi sanciti dagli articoli 43 e 51 del Tur» (e, quindi, si perde l’inibizione dei poteri di accertamento).
Il meccanismo è comprensibile se si pensa a un’assegnazione in cui si opta per il valore normale ai fini della sostitutiva: in tal caso (sempre che l’atto sconti l’imposta proporzionale, dimezzata rispetto alle regole ordinarie) non è possibile “cavarsela” con l’imposta di registro commisurata al valore catastale, perché l’opzione deve essere unica.
Ma che succede nel caso in cui il valore catastale sia 100, il valore contabile 150 e quello di mercato 350? Seguendo i precedenti di prassi (e anche la circolare 26/E/2016, paragrafo 4) si era compreso che la società potesse assumere per l’assegnazione qualunque valore intermedio tra il catastale e il normale, ad esempio 150, che - guarda caso - coincide con il valore netto contabile. Ma, così facendo, per il calcolo della sostitutiva non si utilizza né il valore catastale né quello di mercato, per cui non ci sarebbe opzione. Seguendo la circolare 37/E l’assegnazione rischierebbe di essere accertata per il registro sulle regole ordinarie, e quindi sul valore normale.
Nel caso di specie – anche se non tutti i pareri sono concordi – sembrerebbe allora più opportuno realizzare l’assegnazione al valore catastale (100) oppure al valore normale (350), ma non fermarsi nella “terra di nessuno” del valore intermedio. Salvo che non sia meglio chiarito che (come si ritiene) l’opzione per il catastale sia possibile anche in presenza di un valore di assegnazione (rilevante ai fini dell’imposta sostitutiva) superiore. In attesa, premesso che nulla dovrebbe vietare di utilizzare contabilmente il valore di 150 per rilevare l’assegnazione in atto, è forse opportuna l’opzione per il valore catastale (o per quello normale), da utilizzare per tutti i calcoli fiscali. Poiché una simile scelta ha effetto sul socio, che si vede attribuire l’immobile a un valore diverso da quello progettato, è chiaro che il punto è meritevole di un approfondimento ufficiale.
Anche perché i dubbi non si fermano qui. Ci si potrebbe chiedere, infatti, se il problema non sussista per nulla in caso di assegnazione con imposta di registro fissa (ad esempio, bene strumentale con Iva detratta) e se ci si debba porre gli stessi quesiti in caso di cessione con corrispettivo compreso tra 101 e 349. Nelle cessioni agevolate:
il corrispettivo assume rilievo solo se pari o superiore al valore normale o, su opzione, a quello catastale;
il costo fiscalmente riconosciuto dell’immobile in capo al socio è sempre costituito dal corrispettivo pattuito, a prescindere dal valore eventualmente utilizzato dalla società ai fini della determinazione dell’imposta sostitutiva.