Autoriciclaggio, la tracciabilità non evita il reato
La Cassazione definisce i contorni del reato di autoriciclaggio con particolare riferimenti all’ostacolo concreto ovvero al concreto nascondimento richiesto dalla norma per integrare la condotta del reato. Integra il reato di autoriciclaggio la vendita di diamanti a prezzi maggiorati ove il profitto venga reinvestito nell’acquisto di nuove pietre, senza che la tracciabilità dei passaggi possa escludere la sussistenza del reato. Si può così compendiare il principio di diritto contenuto nella sentenza 37606/2019 , con la quale la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso avverso una ordinanza del Tribunale di Milano, adottata in sede di riesame di misure cautelari reali, a conferma del decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del medesimo Tribunale, avente ad oggetto il profitto del reato di autoriciclaggio e il prezzo del reato all’articolo 2635 del Codice civile (corruzione tra privati).
Ad innescare la vicenda giudiziaria era stata una truffa perpetrata attraverso la vendita di diamanti a prezzi maggiorati rispetto al loro valore di mercato, effettuata da una società con la compiacenza di alcuni funzionari di banca, i quali avevano indirizzato all’acquisto dei preziosi numerosi clienti degli istituti di credito fornendo loro informazioni false sul valore delle pietre e sulle modalità dell’investimento.
In ordine alla sussistenza del fumus del reato di auto riciclaggio il ricorrente, in qualità di amministratore di fatto della società indagata, aveva dedotto la mancanza, nella condotta contestata, della modalità previste dalla legge di creare ostacolo concreto alla identificazione della provenienza delittuosa del bene oggetto di reimpiego. In particolare, si sottolineava che l’attività di acquisto dei diamanti era tracciabile perché inserita nei bilanci della società. Tuttavia, secondo la Cassazione tale circostanza non costituisce elemento idoneo ad escludere la sussistenza del reato di autoriciclaggio e, in particolare, del requisito della idoneità del reimpiego ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa.
A tal riguardo, i giudici di legittimità hanno ribadito che solo una valutazione del singolo caso condotta sulla base di un criterio ex ante potrebbe scongiurare il rischio di una interpretazione di fatto abrogativa del reato di auto riciclaggio: è persino ovvio, infatti, che nel momento in cui in qualunque contesto di indagine sia identificata un’operazione finanziaria o imprenditoriale sospetta, si abbia una riemersione dell’attività di occultamento, senza tuttavia che ciò possa escludere, a posteriori, il requisito della concretezza, a meno di non voler ritenere che l’articolo 648-ter 1 del Codice penale, prefiguri un’incriminazione impossibile. Nel caso di specie, a prescindere dalla tracciabilità sulla base dei bilanci della società delle operazioni di acquisto dei diamanti, l’ostacolo concreto all’identificazione della provenienza delittuosa delle somme investite in tale acquisto, andava rinvenuto nello stesso modus operandi della società. L’ordinanza impugnata aveva, infatti, evidenziato come le operazioni di acquisto dei diamanti con i proventi della truffa, fossero state effettuate in favore di società di diritto estero. Ciò aveva complicato non poco la ricostruzione dei flussi finanziari determinando confusione dei proventi illeciti nel patrimonio lecito e la loro trasformazione in diamanti, poi reimmessi nel circuito imprenditoriale facenti capo alla società indagata.
La sentenza quindi conferma un orientamento formatosi prima con il reato di riciclaggio ed oggi con quello di autoriciclaggio secondo cui non è necessario effettuare condotte atte ad impedire in modo definitivo, ma anche solo che rendano difficile l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine criminosa delle somme. Tali argomentazioni non potranno non avere effetti per operatori finanziari e bancari ai fini della valutazione di operazioni sospette ai fini antiriciclaggio.
Cassazione, sentenza 37606/2019