Controlli e liti

Bancarotta per distrazione al professionista pagato troppo

Per la Cassazione è irrilevante l'arbitrato favorevole sulla spettanza dei compensi

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Commette il reato di bancarotta per distrazione il commercialista che percepisce somme significative dalla società successivamente fallita per servizi che, seppur supportati da contratti, attengono attività generiche, e remunerate con compensi ritenuti al di fuori di ogni ragionevolezza imprenditoriale. A nulla rileva, stante l’autonomia del giudice penale, che tali compensi siano stati ritenute dovuti da un lodo arbitrale arbitrato tra professionista e società fallita.

A fornire queste indicazioni è la Cassazione, sezione I penale, con la sentenza n. 538 depositata ieri.

Un commercialista unitamente ad altri soggetti era indagato per condotte distrattive in relazione al fallimento di una società. Il commercialista aveva stipulato con detta società alcuni contratti di consulenza per alcune centinaia di migliaia di euro. Secondo l’accusa le prestazioni non erano supportate da una effettiva e corrispondente attività professionale, in quanto il commercialista si era per lo più limitato a presentare soltanto delle relazioni periodiche. Il Tribunale del riesame (dopo un primo intervento della Cassazione) rilevava la sussistenza di indici di fraudolenza solo nei contratti successivi al primo.

L’interessato ricorreva per cassazione, lamentando tra l’altro l’omesso esame di una consulenza di parte attestante l’attività svolta in tali anni (tipo di intervento compiuto, utilizzo di dati contenuti in singole schede tecniche ai fini della redazione del bilancio, corrispondenza dell’entità dei compensi ai criteri previsti dalla tariffa professionale). Peraltro, appariva singolare che la medesima attività professionale svolta fosse giudicata regolare per i primi anni, ma non per i successivi. Inoltre vi era un giudizio arbitrale favorevole al commercialista sulla spettanza di tali compensi con conseguente ammissione al passivo fallimentare.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso condividendo in buona sostanza la tesi del tribunale del riesame secondo cui le attività svolte negli ultimi anni erano state retribuite in modo irrazionale sul piano della ragionevolezza imprenditoriale, in quanto, per il mero sporadico ritrasferimento dei dati, svolto dal professionista, erano stati devoluti compensi esorbitanti.

L’autonomia delle parti nella pattuizione dell’onorario non giustifica, secondo i giudici, l’erogazione di compensi del tutto fuori misura rispetto alle prestazioni in concreto rese e idonee a determinare un contributo causale efficiente ai fini della distrazione.

Il contenuto del lodo arbitrale, giunto a conclusioni del tutto opposte sulla quantificazione dei medesimi compensi, per la sentenza, non vincola l’accertamento svolto in sede penale.

Da ultimo viene ricordato il dolo del terzo concorrente terzo (nella specie il commercialista) estraneo alla società. Esso consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto rispetto a quella del soggetto interno all’azienda (l’amministratore) con la consapevolezza di determinare un depauperamento del patrimonio sociale dei creditori, non essendo richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società.

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